Su Emil Cioran è rifiorito da qualche anno un intenso e inaspettato interesse, finalmente dovuto ad una esegesi seria e non capziosa dei suoi testi che, in non rari casi, sono nella loro brutale verità dei piccoli gioielli. Inaspettato proprio perché si è cominciato a cogliere dal verso giusto un autore che, a ragione, appartiene ai ‘grandi’ del pensiero e della letteratura, e finalmente liberato da inutili lacciuoli interpretativi. L’ultima pubblicazione in ordine di tempo è del giovane filosofo Vincenzo Fiore (Emil Cioran. La filosofia come de-fascinazione e la scrittura come terapia, Nulla Die edizioni, p. 190, euro 17) che, in passato, si era occupato di Platone e aveva avuto il tempo di mandare alle stampe anche il suo primo romanzo, ma che da tempo ha indirizzato i suoi studi su Cioran tanto da entrare a far parte di un Progetto di ricerca internazionale dedicato proprio all’intellettuale rumeno.

maxresdefault

Cosa significa «chiudere i conti con la filosofia ufficiale»?

Chiudere i conti con la filosofia ufficiale significa lasciarsi alle spalle secoli di dottrine e di teorie, per rimettere tutto in discussione. Cioran distingueva fra il «credere» alla filosofia e il vero pensare. La filosofia dovrebbe essere qualcosa che si vive di persona, un’esperienza personale. Si dovrebbe fare filosofia per strada, intrecciare la filosofia con la vita. Definiva i grandi sistemi metafisici tedeschi fuori dalla realtà, idee alle quali non si può ricorrere né nel dolore né nella solitudine. Tutto ciò che non è diretto è nullo.

La «cattedra è la tomba della filosofia», scriveva…

Mentre i filosofi antichi avevano una naturale propensione al pensiero e attendevano l’ispirazione passeggiando al mercato o in riva al mare, gli intellettuali moderni si sforzano, attraverso innumerevoli letture, di partorire qualcosa di originale: «Molte menti hanno scoperto l’Assoluto perché avevano un divano vicino a loro». In fondo, egli sosteneva che ha maggior spessore filosofico una portinaia che si ponga delle domande che uno studioso che passa la vita a fare l’inventario delle opinioni altrui.

La «de-fascinazione» è una fuga dalla realtà o un modo per leggerla da un’altra prospettiva?

È un tipo di filosofia pratica e quotidiana volta alla progressiva eliminazione di ogni forma di dogmatismo e di ideologia, che ha come scopo la liberazione totale dell’uomo. Il rinnegato o il de-fascinato è colui che anziché meditare sui «problemi», riflette direttamente sulle «cose». E solo un mostro, scriveva Cioran, ha la capacità di riuscire a vedere le cose come realmente sono.

Perché scrive che ci sarebbero ‘diversi’ Cioran’ E perché ci sarebbe una cesura netta tra quello che noi conosciamo prima degli anni trenta e il ‘dopo’?

Un giorno passeggiando per Budapest, Cioran vide un sergente ungherese e rabbrividì al pensiero che i suoi baffi si fossero estesi per mille anni sulla sua Transilvania. Nella Romania ferita e in preda alla corruzione degli anni trenta, il pensatore romeno credeva che solo il sangue potesse lavare la vergogna secolare che aveva afflitto il suo popolo, di conseguenza, scrisse La trasfigurazione e appoggiò la Guardia di Ferro. Dopo il 1941, invece, egli si rese conto che tutte le società sono malvagie, occorre soltanto saper scegliere fra le diverse sfumature del peggio.

Epperò, studia contemporaneamente il buddismo «per non farsi contaminare»

Nel 1933 scriveva agli amici dalla Germania di passare le giornate a interpretare il Buddha e ascoltare Bach, per non farsi coinvolgere da «quell’immensa porcheria della politica». Tuttavia, qualche mese dopo, Cioran avrebbe visto Hitler e Codreanu come gli unici in grado di poter far uscire il suo paese dalla «sub-storia». Degli stessi, più avanti, parlerà come di due barbari scatenati che hanno condotto l’Europa al suicidio.

Eppure, il poeta Gherasim Luca parlò di «fascismo a freddo», cioè di un fascismo più timido ma non meno pericoloso.

Luca attaccava Cioran per l’articolo Depre o altă Românie, dove lo scettico dei Carpazi, allora ancora legato alla Guardia di Ferro, sosteneva che è evidente che ogni individuo preferirebbe vivere in Francia piuttosto che in Unione Sovietica o nel Terzo Reich. Qui siamo nel 1935, ma Cioran non sarà mai perdonato per quella sua infatuazione giovanile, proprio come accade – diceva ironicamente – a una donna dal passato indecente.

Ha dedicato dei volumi a questa delicata fase storica e a cosa accadde in Europa.

Dal primo paragrafo del Sommario di decomposizione (1949), Cioran vuole scavare all’origine del fanatismo per cercare di comprendere come gli uomini si siano potuti macchiare di crimini così cruenti in nome di un’ideologia. Una ricerca questa, volta anche al fine di una “purificazione” personale. Il pensatore romeno vuole lasciarsi alle spalle quello che ha definito «l’apice negativo» della sua esistenza.

E poi…

Undici anni dopo, in Storia e utopia, risente fortemente dei tragici avvenimenti dell’Insurrezione ungherese… rivolta schiacciata violentemente dall’Unione Sovietica quattro anni prima e, sempre in maniera anti-sistematica, scrive intorno al tema della libertà, definita quest’ultima un principio etico d’essenza demoniaca.

Ad un certo punto ha intessuto un vibrante corpo a corpo con la filosofia di Nietzsche

Nietzsche fu l’incantatore della sua giovinezza. In uno dei testi ancora non tradotti in italiano, il giovane Cioran arriva addirittura a definire l’autore de La gaia scienza un argomento contro il monoteismo, paragonandolo a un dio. Il Cioran di lingua francese, seppur ancora fortemente influenzato sia nello stile che nel pensiero, attaccherà duramente Nietzsche, in quanto lo Zarathustra non sarebbe altro che la prova che egli fu un falso iconoclasta: «ha abbattuto idoli se non per sostituirli con altri».

Ci spieghi cosa è la setta dei Bogomili?

I Bogomili furono una setta bulgara attiva fra X e il XII secolo, i suoi membri sostenevano che il Creatore non è immune dal peccato poiché ha creato il mondo. Cioran, definendosi un bogomilo del Novecento, affermava che sarebbe più facile pensare all’universo come al disegno malriuscito di una divinità malvagia o incapace.

Ad un certo punto si è fatto psicologo. Ha dichiarato che da soli si impara a conoscersi, senza aiuto esterno. Il suo giudizio sulla psicanalisi sembra ‘definitivo’.

Il suo interesse verso la psicanalisi avviene già durante la guerra, quando passava ore e ore a parlare con i pazienti ricoverati nei manicomi. Secondo Cioran, non esiste una metodica che fornisca la chiave dei misteri psichici, l’arte di essere psicologi non si impara, ma si vive e si sperimenta. Occorre essere il proprio oggetto di studio. Egli liquidava senza indugi Freud come un avventuriero mascherato da scienziato e paragonava la psicanalisi a mera stregoneria.

La necessità di crearsi la terapia da solo… di questo parla

La scrittura è la sola terapia che ha permesso a Cioran di andare avanti, la sola alternativa alle farmacie, un metodo per placare le ossessioni e per scongiurare la noia esistenziale. Se non fosse stato un “imbrattacarte” probabilmente avrebbe messo fine ai suoi giorni.

In un contesto così dilaniante non si vede Dio.

Dio è un fiore che germoglia nelle sofferenze, un’illusione necessaria per i deboli di spirito. È il dolore ad avvicinare il cielo e la terra.

Perché l’idea del suicidio e quel «meglio non essere nati» rimangono il fulcro di tutta la esegesi su di lui?

L’uomo ha sempre creduto che la morte fosse il massimo evento negativo dell’esistenza, senza comprendere che il vero male è al principio e non alla fine di essa. La vita non è altro che un lungo giro per liberarsi dalla nascita, ovvero dalla più grande catena. Il suicidio che apparentemente potrebbe apparire come una soluzione, in realtà non è in grado di riscattare la dolcezza anteriore al primo respiro. Soltanto l’idea del suicidio, ovvero la consapevolezza di poter mettere fine in ogni istante ai propri giorni può essere una consolazione. Senza tener conto di questo passaggio, non è possibile leggere colui che si rammaricò di essere stato un «modesto teorico del suicidio».

Tag: ,