Si può ripercorrere una intera epoca storica riavvolgendo il nastro delle pellicole cinematografiche più importanti o, al contrario, di quelle che hanno segnato nel profondo gusti artistici e scelte ideali? Certamente è possibile! Anzi, questo pare un refrain che periodicamente viene – appunto – reiterato, a dimostrazione del fatto che per decifrare ‘’un tempo’’, a volte può servire un romanzo, un film, una canzone ancor più di un saggio accademico.

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 Su questa traiettoria esegetica si è lanciato Giuseppe Del Ninno, ma in maniera del tutto particolare, non svestendo, nemmeno in questo caso, i panni dell’anticonformista, dell’intellettuale politicamente scorretto; e infatti ‘’legge’’ tre decenni attraverso la sua personale lente di ingrandimento con il libro dal titolo Piombo, sogni e celluloide. Gli anni Settanta, Ottanta e novanta al cinema pubblicato dall’ottima Oaks editrice che in questi ultimi mesi ci sta deliziando con vere e proprie perle.

Dagli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, una ricognizione del tutto individuale che coglie sì, aspetti collettivi già noti e approfonditi, ma mette in risalto anche pulsioni, sfumature, gradazioni interpretative che proprio in quanto personali non sono affatto catalogabili in schemi precostituiti.

Partendo da una prospettiva del tutto personale non se ne può che ricavare una storia di inquietudini e di speranze che attengono alle opere in questione, ai loro registi, ma di risulta anche ad un raccontatore come Del Ninno che innerva alla critica cinematografica, un’analisi sociale e politica non disgiunta da emozioni e ricordi intimi e privati.

Un bel libro che scorre lungo quello che egli definisce il «decennio lungo», vale a dire quel tempo che prende il via con le contestazioni del 1968 per approdare alle soglie dei 90 con film come Matrix e Minority Report. Ed è un libro seducente perché spinto e solleticato dalle pulsioni, dai sentimenti e dai gusti dell’autore che, invece, nelle prime pagine tende a giustificare questo suo approccio, quasi timoroso per l’eventuale pericolo di incompletezza e arbitrarietà provocato da una prolissità della sfera privata rispetto all’esegetica pura. E invece è proprio quello che risalta e rende godibile la lettura. Se infatti tiene a specificare sin da subito che vi possano essere dei film «in grado di muovere il mondo», o almeno che vi erano prima del ‘dominio’ incontrastato della Tv e di Internet, d’altro canto, questa sensibilità personale lo fa deviare innanzitutto su tre film che diventano paradigma del cambiamento e di un’epoca: Un uomo chiamato cavallo, Piccolo Grande Uomo e Soldato Blu.

In quegli anni tutto rispondeva ad una logica bipolare, in cui la politica, l’economia, financo il costume dovevano scontarsi con un nemico sempre presente. Da una parte gli occidentali, dall’altra ‘’i rossi; da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Ebbene, la singolarità di queste tre pellicole è quella di aver capovolto il paradigma. Per la prima volta venivano palesemente smontati teoremi e verità acquisite per dare una lettura di quelle vicende assolutamente diversa. In realtà, Del Ninno ricorda che grazie ad antropologi, filosofi e studiosi di diversa estrazione culturale (menziona Claude Lévi-Strauss e Mircea Eliade tra gli altri), a case editrici come Borla o Rusconi, e soprattutto grazie alla tragedia del Vietnam, si tentava di rovesciare luoghi comuni consolidati. Nel caso specifico quelli sui Pellerossa come una sorta di trogloditi violenti da civilizzare con la forza. Tuttavia, ad un’analisi più libera e allargata su tutti i fronti culturali, si mettevano in questo modo le basi per una lettura affrancata dai vecchi modelli interpretativi. I tre film in questione lasciarono il segno; furono infatti modelli radicalmente diversi dai precedenti che, poi, vennero confutati in maniera pesante. Attraverso di essi, non solo ci si rendeva conto di quanto i ‘ragazzi’ americani avessero fatte cose orribili in Vietnam, ma che la storia, tutta la storia, non era stata diversa neanche in passato. Se l’epopea western e della costruzione del mito americano si reggeva su fondamenta fragili e non veritiere, così altri modelli e miti moderni vennero a poco a poco smembrati e dissacrati.

E infatti il libro di Del Ninno si apre a ventaglio e non resta isolato in America, nella patria del cinema moderno, e solo a quelle vicende pionieristiche. La circumnavigazione del volume si innerva su tutta la storia recente dell’occidente, attraversando grazie a film come Ultimo tango a Parigi (1972), Mission (1986), Un borghese piccolo piccolo (1977), L’inchiesta (1986), Nel nome del padre (1983), L’attimo fuggente (1989), La notte di San Lorenzo (1982), Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) e altri ancora, tutti i processi culturali, politici e sociali di tre decenni.

Una ampia ricognizione tale da essere traccia entro la quale decrittare – come dicevamo – i mutamenti nel costume ma anche le sensibilità sociali perché quei film colsero il cambiamento ed insieme le prospettive e i percorsi sui cui ci saremmo poi incamminati.

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