Quella che segue è parte della introduzione che ho fatto per il volume Ernst Nolte. Fascismo, nazismo e comunismo, uscito per Solfanelli editore, a cui hanno collaborato Antonio Carioti, Marco Cimmino, Francesco Coppellotti, Massimo De Angelis, Giuseppe Del Ninno, Marco Gervasoni, Gennaro Malgieri, Corrado ocone, Luca Steinmann.

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La ricerca storica dovrebbe per sua intrinseca natura sempre essere revisionista. Questa affermazione lapalissiana appare invece, a finti sprovveduti e comprovati cinici, come una strumentale scorciatoia per chi voglia esercitarsi in giustificazionismi o, peggio ancora, in spregevoli negazionismi. Se è tuttavia basilare premessa riaffermare con forza che non possa essere definito storico serio chiunque sconfessi vicende fondate su evidenze fattuali e, magari, si abbandoni all’apologia o alla rozza minimizzazione di crimini di genocidio, d’altra parte va pure ribadito che l’uniformità interpretativa appaia sempre più come un tarlo che corrode ogni epoca e, perciò, anche la nostra.

Compito dello storico, prima ancora dell’osservare e ragionare, è reperire testimonianze scritte e sottrarsi alla fantasia creativa e all’immaginazione che sono fattori proficui in altri campi. Solo dopo aver analizzato e verificato date ed eventi, può infatti procedere con un certo margine di autonomia attraverso deduzioni e sentieri paralleli, tentando così di evidenziare rapporti di causalità, combinazioni culturali, congiunture sociali, senza farsi influenzare da tesi precostituite. Quando invece tutto ciò sparisce, siamo di fronte ad espedienti frutto di dilettantismo o fervore ideologico.

Il mondo contemporaneo ha conosciuto una figura la cui opera si pone come paradigma stesso del revisionismo e che è stata però forzatamente spinta al di là di questo crinale; per taluni, andando di gran lunga oltre il limite invalicabile della verità dei fatti e, di conseguenza, ricevendo nel migliore dei casi insinuazioni, nel peggiore calunnie e vili attacchi personali. Nel nostro tempo, quando infatti si utilizza il termine ‘revisionista’, non si può non far riferimento ad Ernst Nolte (1923-2016) il cui nome solleva un tale volume di disapprovazioni da lasciare sbigottiti, nonostante lo snodo delle polemiche sia incentrato sempre intorno ad un solo punto: per non pochi critici, lo studioso tedesco sarebbe intestatario di teorie senza alcun fondamento sostanziale nel non dichiarato tentativo di rendere il nazismo un evento ‘digeribile’ ad una massa crescente di lettori.

L’unico modo per venire fuori da questa babele e non ricadere in isterismi di parte, mi è perciò sembrato quello di far confrontare voci discordanti in un unico volume che non è (e non vuole essere) un libro celebrativo, come pure frequentemente capita a lavori di tal genere, e nemmeno ‘definitivo’, ma solo un invito alla lettura, per meglio orientarsi nei percorsi e nel linguaggio di uno studioso che è stato (ed è) al centro del dibattito culturale da più dimezzo secolo.(…).

Ecco perché siamo certi che analizzare la sua opera da visioni prospettiche diversificate, possa restituire al lettore indipendenza da ogni partigianeria e mettere sotto una luce meno ingannevole e artificiosa eventuali punti oscuri, così come intuizioni o deduzioni originali. Al contrario, il peggior modo di entrare nei gangli di una opera così complessa sarebbe quello di scadere in una sciocca operazione celebrativa.(…).

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A leggerla adesso la vicenda Nolte, cioè dopo la sua morte, pare articolarsi su una sorta di onda sinusoidale, con momenti di calma apparente, altri di vivo interesse, altri ancora di accese polemiche fino all’esplosione mediatica degli anni Ottanta con la controversia sul «passato che non passa». Quelli, infatti, furono gli anni decisivi. In Germania sembravano aprirsi spiragli per analisi svincolate da sovraccarichi ideologici. Questo fatto portò Nolte ad essere al centro di un dibattito che se, da una parte impose all’attenzione del grande pubblico le sue tesi, dall’altro scatenò un putiferio con polemiche che intaccavano il fronte culturale ma anche personale. Aspri dibattiti che oscillavano dal prevedibile attacco ideologico, in parte frutto anche di un passato sul quale nessuno aveva voglia di rivangare, fino alle analisi senza pregiudizi ma che, purtroppo, restavano silenziate anch’esse dal clamore di discussioni animose che diventarono solluchero per molti.

Nel 2000, per esempio, ricevette il prestigioso premio Konrad Adenauer che, oltre a dargli rinnovata visibilità, riaccese vecchie polemiche anche per la vicenda legata al rifiuto di Angela Merkel, leader dei democristiani tedeschi, di tenere la ‘laudatio’. Anche in Italia si colgono atteggiamenti schizofrenici. Nel 2009, viene invitato a Trieste dal Comune, in occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino, ma riceve insulti di ogni genere da parte di manifestanti che entrano nella sala convegni e gli lanciano anche delle bottigliette. Nello stesso periodo, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, punto di riferimento europeo per gli studiosi dell’illuminismo e quindi della cultura progressista, lo invita a tenere, e per alcuni anni, Seminari di alto profilo scientifico rivolti a studenti, laureati e docenti.

La sua vita è perciò sintetizzabile in questo contraddittorio e sinuoso scenario. Un elastico che tende sempre ad allargarsi da un estremo all’altro, dove i suoi scritti e le tesi si snodano lungo un perimetro disseminato di riconoscimenti e incomprensioni, approvazioni e attacchi. Un continuo scivolare su una sorta di montagne russe che inficiano una sana esegesi del suo pensiero e della sua ricerca storica ma compromettono anche la banale ordinarietà della vita privata.

Ecco perché questo lavoro collettivo si apre dalla fine, dal suo ultimo libro; da una biografia che ripercorre vicende professionali e umane all’interno di un quadro d’insieme in cui i pezzi fanno fatica ad inserirsi uno alla volta. E si chiude invece con una panoramica sulla Germania di oggi e sui rilievi critici che, ad essa, Nolte fece nella parte finale della sua vita, innervandoli con i temi moderni dell’immigrazione, del pericolo islamista e di una identità sempre più sfibrata e irriconoscibile. Argomenti non nuovi visto che di ‘invasione straniera’ e di ‘abuso nel diritto d’asilo’ ne aveva parlato con L’Espresso (13 settembre 1992) e La Stampa (24 novembre 1992) rilasciando delle interessanti interviste. Nell’ultimissima parte del suo percorso, gli studi verteranno quasi esclusivamente sulla decadenza dell’Occidente e sul pericolo islamista che egli definirà «il terzo radicalismo».

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