Nicola Lagioia, direttore editoriale del Salone del Libro, lo dice a chiare lettere. O meglio, lo fa intendere, ma in maniera abbastanza chiara: anche quest’anno sarà un fortino auto-celebrativo per la cultura progressista. E ne fa addirittura una questione di quote. A leggere la realtà, ogni dieci scrittori, a suo dire, ben otto sarebbero progressisti, i restanti due conservatori, anarchici di destra o similari. Per tale motivo, ha sentito la necessità di invitare solo uomini di cultura dichiaratamente di sinistra e fare ”selezioni all’ingresso”.

Non entriamo nel merito di questa stantia differenziazione; tuttavia, a Lagioia, rispondiamo con una articolo di Giovanni Raboni (non propriamente un reazionario o un pericoloso criptofascista), pubblicato sul Corriere della Sera del 27 marzo 2002.

Se lo legga, il caro Lagioia (… o magari se lo rilegga), e poi si riaccomodi pure sulle calde e comode poltrone della Fiera di Torino insieme ai suoi compagni di questo misero tempo. L’articolo di Raboni dice molto sia sulla cultura del Novecento, che è stata nelle sue punte più alte essenzialmente non di sinistra, sia sull’approccio metodologico manicheo, settoriale ed ideologico, e perciò cupo e poco intelligente, di un mondo che ha preferito l’egemonia alla qualità, il consenso immediato alle vette solitarie e ineguagliabili di artisti, letterati e filosofi spesso non classificabili, e perciò ritenuti ingiustamente degli outsider .

Non sappiamo se oggi sia lo stesso; se cioè le vette siano da additare ad una parte mentre il resto, quel magma mediocre e indistinto, sia da lasciare all’altra. Non entriamo in queste classificazioni da Bar dello sport. Ma una rilettura consapevole del testo di Raboni si impone, almeno per avere contezza di cosa ci siamo lasciati alle spalle e quanta acredine e falsità sia circolata intorno ad autori non succubi della egemonia culturale. E sopratutto come non sia cambiato questo puerile e limitato metro di giudizio.

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Se c’ è qualcosa sui cui destra e sinistra sembrano essere, da un po’ di tempo, sorprendentemente d’ accordo è che in Italia non esiste una cultura di destra degna di questo nome: con il corollario o, invece, per il motivo che i cosiddetti intellettuali – categoria di cui fanno naturalmente parte, fra gli altri, i romanzieri, i poeti, i drammaturghi, insomma gli scrittori – sono «tutti di sinistra». Si tratta di una convinzione talmente diffusa e soprattutto, si direbbe, così profondamente radicata, da trasformarsi nell’immaginario collettivo in una sorta di luogo comune metastorico: come, insomma, se non soltanto adesso e qui da noi, ma ovunque e da sempre vi fosse un nesso consolidato e in qualche modo fatale fra l’ essere scrittore e l’ essere «di sinistra».

E una delle conseguenze di questa credenza o diceria è l’ atteggiamento di incomprensione se non di rifiuto, di estraneità se non di malanimo, di diffidenza se non di disprezzo nei confronti dell’ intera categoria, ravvisabile in larghi strati dell’ opinione pubblica piccolo borghese, a cominciare da alcuni dei più pittoreschi rappresentanti dell’ attuale maggioranza politica. Peggio per loro, si potrebbe commentare; ma anche, a pensarci bene, peggio per noi.

Ma c’ è anche, forse, un altro modo di porsi di fronte alla questione, ed è quello di andare e vedere e il luogo comune che ne costituisce il fondamento non sia, per conto suo, almeno in parte infondato. È quanto, personalmente, mi sono proposto di fare, sforzandomi in primo luogo di ampliare decisamente la prospettiva, cioè di spostare l’ attenzione dell’ angusta e, ahimè, molto significativa attualità italiana a quanto è successo durante gli ultimi cento anni in ambito mondiale.

E il risultato è quello che mi permetto qui di sottoporre alla riflessione dei lettori (di destra e di sinistra) eventualmente interessati all’argomento. Per dirla nel più diretto e disadorno e a prima vista (ma solo a prima vista) provocatorio dei modi, la verità dei fatti è la seguente: che non pochi, anzi molti, anzi moltissimi tra i protagonisti o quantomeno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del ‘ 900 appartengono o sono comunque collegabili a una delle diverse culture di destra – dalla più illuminata alla più retriva, dalla più conservatrice alla più eversiva, dalla più perbenistica alla più canagliesca – che si sono intrecciate o contrastate o sono semplicemente coesistite nel corso del ventesimo secolo.

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Per chi non volesse (e farebbe, sia ben chiaro, benissimo) credermi sulla parola, ecco un po’ di nomi, messi in fila secondo il più neutrale dei criteri, quello alfabetico, e mescolando (un po’ per non complicarmi la vita e un po’ perché si farebbe altrimenti, ai fini di quanto sto cercando di dire, più confusione che altro) ogni tipo di destra possibile: Barrès, Benn, Bloy, Borges, Céline, Cioran, Claudel, Croce, D’ Annunzio, Drieu La Rochelle, T. S. Eliot, E. M. Forster, C. E. Gadda, Hamsun, Hesse, Ionesco, Jouhandeau, Jünger, Landolfi, Thomas Mann, Marinetti, Mauriac, Maurras, Montale, Montherlant, Nabokov, Palazzeschi, Papini, Pirandello, Pound, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa, W.B. Yeats…

E non è finita; a parte, per un minimo di rispetto alla peculiarità del loro tragitto, ho tenuto infatti i transfughi dalla sinistra, quelli che sono stati folgorati, a un certo punto della vita, dalla rivelazione dei disastri e dei crimini del comunismo storico e che per questo hanno finito con l’ attestarsi su posizioni sostanzialmente liberali: Auden, Gide, Hemingway, Koestler, Malraux, Orwell, Silone, Vittorini… E a parte ancora, perché è impossibile immaginare quali sarebbero state le loro convinzioni e vicende politiche se il destino li avesse fatti vivere altrove, i grandi perseguitati da Stalin: Babel’ , Brodskij, Bulgakov, Cvetaeva, Mandel’ stam, Pasternak, Solzenicyn… Il tutto, s’ intende, salvo (probabilmente) omissioni.

Ma ce n’ è già abbastanza, mi sembra, per mettere seriamente in discussione la credibilità della famosa equazione dalla quale siamo partiti: per il sollievo di chi detesta o teme la sinistra ma anche, per motivi magari un po’ più complessi, per il conforto di chi pensa che essere di sinistra sia una scelta etica e non una questione di appartenenza automatica o, peggio, una specie di privilegio di casta. Ma ancora più importante, a mio avviso, sarebbe prendere spunto da questo sommario censimento per cercare di liberarsi da un altro ancora più insidioso pregiudizio, quello secondo il quale una persona di sinistra che scrive libri è ipso facto uno scrittore di sinistra e una persona di destra che scrive libri è ipso facto uno scrittore di destra. Non è così: il senso di un’ opera letteraria decidendosi e manifestandosi altrove, su un piano totalmente diverso da quello delle scelte di carattere ideologico e dei comportamenti di carattere politico. Tengo a precisare che non intendo affatto, con questo, pronunciarmi a favore dell’ irresponsabilità civile dello scrittore (e, più in generale, dell’ artista); al contrario, sono convinto che uno scrittore (un artista) debba rispondere delle idee che professa e degli atti che compie esattamente come ne risponde qualsiasi altro cittadino. Quello che voglio dire è semplicemente che le due sfere non coincidono necessariamente, anzi che molto spesso (per non dire il più delle volte) non coincidono; e che, per esempio, si può essere rivoluzionari nella scrittura e conservatori, o addirittura reazionari, in politica, e viceversa.

E forse, spingendosi un po’ più in là, si potrebbe persino ipotizzare l’ esistenza di un oscuro, paradossale legame fra progressismo politico e conservatorismo stilistico da una parte e fra passione sperimentale e sfiducia nelle «magnifiche sorti e progressive» dell’ altra; le inquietanti vicende di due dei massimi innovatori (nel campo, rispettivamente, della prosa e della poesia) che la letteratura del ‘ 900 possa vantare, il collaborazionista e antisemita Céline e il filomussoliniano Pound, sembrano fornire, in questo senso, indizi non facilmente accantonabili.

Ma lasciamo perdere; sarei già contento, per ora, di aver insinuato qualche dubbio sia nell’animo di chi, a destra, vede in ogni scrittore un avversario politico, sia in quello di chi, da sinistra, scambia non meno ingenuamente ogni scrittore per un compagno di fede. Filoni Moltissimi protagonisti della letteratura del Novecento appartengono o sono comunque collegabili a una delle diverse culture di destra.

NEL MONDO Barrès, Benn, Bloy, Borges, Céline, Cioran, Claudel, Drieu La Rochelle, T. S. Eliot, E. M. Forster, Hamsun, Hesse, Ionesco, Jouhandeau, Jünger, Thomas Mann, Mauriac, Maurras, Montherlant, Nabokov, Pound, W. B. Yeats

IN ITALIA Croce, D’ Annunzio, Carlo Emilio Gadda, Landolfi, Marinetti, Montale, Palazzeschi, Papini, Pirandello, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa,

TRANSFUGHI A parte, dai nomi sopra indicati, vanno ricordati i «transfughi dalla sinistra»: Auden, Gide, Hemingway, Koestler, Malraux, Orwell. E in Italia: Silone, Vittorini

PERSEGUITATI Sono i grandi perseguitati da Stalin, impossibile dire quali sarebbero state le loro convinzioni e vicende politiche se il destino li avesse fatti vivere altrove: Babel’ , Brodskij, Bulgakov, Cvetaeva, Mandel’ stam, Pasternak, Solzenicyn.

 

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