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È  uscito da qualche giorno, per le edizioni Le Lettere, il volume a cura di Mario Bosincu (ricercatore in Letteratura tedesca presso l’Università di Sassari), nel quale sono raccolti e commentati tre testi di Ernst Jünger, San Pietro, SerpentaraAutunno in Sardegna.

Di seguito, uno stralcio tratto dalla Introduzione

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L’esperienza del viaggio in Sardegna, intrapreso da Ernst Jünger per la prima volta nel 1954 e raccontato in San Pietro (1957), Serpentara (1957) e Autunno in Sardegna (1965), rappresenta il confronto con un microcosmo prossimo al tramonto in cui si vanno già moltiplicando i segni della modernità.

L’isola appare così come un laboratorio in cui è possibile osservare il verificarsi accelerato di fenomeni il cui attuarsi, invece, in Germania ha richiesto un secolo. In questo senso, lo scrittore tedesco eleva la descrizione della profonda trasformazione che sta avvenendo in Sardegna al rango di una parabola generale del dramma della modernizzazione tecnologica,e la svolta avvenuta nel suo pensiero traspare chiaramente dai toni elegiaci con cui egli celebra un mondo patriarcale in via di dissoluzione.

Su un piano più profondo, il viaggio in Sardegna avviene entro un paesaggio insieme archetipico e metafisico in cui si muovono uomini e animali. In Serpentara si legge che la vera felicità risiede nei ricordi, e in San Pietro si parla dell’“engramma” che guida i tonni. Non stupisce, quindi, che in Autunno in Sardegna la descrizione del piccolo Eden rappresentato da un giardino culmini  nell’epifania della “Vecchia Madre” Terra.

Di qui l’esaltazione della Sardegna quale specola privilegiata per accedere all’intuizione delle energie vive nel cosmo: «Quando si arriva dalla Sicilia si percepisce con chiarezza l’indiviso, ciò che non è stato ancora spezzettato dal tempo suddiviso in parti. In Sicilia l’intrico di nomi, luoghi ed episodi storici celebri è così spesso e pesa con tale forza da coprire quanto è avvenuto prima. Tucidide, il primo storico nel senso moderno del termine, ha descritto i percorsi ed i movimenti di eserciti sul suo suolo con una tale precisione che sembra di poterli decifrare sulla carta topografica di un generale. Perdono così la loro forza le figure del mito. Su quest’isola, tuttavia, agisce sullo spirito qualcosa di ben più potente del ricordo storico o preistorico. Di rado, persino nel corso di catastrofi, usciamo dalle dimore dell’umano per accedere alla lingua cifrata ed ai movimenti di un’immediata forza creatrice. In questi frangenti le tracce delle epoche storiche divengono simili alla scritta che è stata lasciata da delle zampette di formica sulla sabbia e che può essere letta prima dell’arrivo delle onde. Questo è il vero sapere, il trionfo che vive nella lingua dei profeti. Il mondo, coi suoi vortici e le sue profondità astrali, è solo un velo ornato di decorazioni di fiamma e di ghiaccio e sollevato da un profondo respiro».

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