Qualche giorno fa sono stato intervistato da Federico Cenci per il Quotidiano del Sud.

Ripropongo, in questo mio Blog, l’intervista integrale.

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Ogni anno fitte schiere di giovani escono dalle scuole superiori del Mezzogiorno e si iscrivono ad università del Centro-Nord. È uno stillicidio che contribuisce allo spopolamento delle terre natie. Ora alcuni atenei del Sud, dalla Sicilia alla Puglia alla Basilicata, provano a riconquistare gli studenti fuggiti con una serie di agevolazioni. Il Quotidiano del Sud ne ha parlato con Luigi Iannone, giornalista e scrittore casertano, attento studioso del pensiero conservatore, che si esprime in generale sull’importanza dell’identità.

Riduzione delle tasse universitarie per permettere agli studenti di restare al Sud: cosa pensi della proposta di alcuni atenei meridionali?

Comprensibile. E anche di buon senso, perché in questo modo si permetterebbe a migliaia di studenti di ritornare a casa. Siamo in una fase sociale ed economica catastrofica, con i risparmi delle famiglie e gli stipendi dei genitori che si stanno sempre più contraendo. Se a questo aggiungiamo la Cassa integrazione, i licenziamenti pronti per l’autunno, le attività commerciali che non riaprono nemmeno in questi mesi estivi, non si capisce per quale motivo non si possa utilizzare un tale strumento.

Il ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, si è però detto contrario, evocando il «principio di diseguaglianza». Come valuti la sua posizione?

Fuori contesto. Non entro nelle sofisticherie e nei cavilli burocratici che possono anche venire in suo soccorso. Ma qui siamo in una situazione d’emergenza, al limite del tracollo, ed escludere da queste agevolazioni solo il comparto universitario è una cosa avvilente. E infatti, ho come l’impressione che qui, i temi di carattere giuridico, abbiano poco a che fare con l’intera questione. Il ministro, probabilmente, sta subendo le pressioni di molti Rettori del Nord e di tanti sindaci dal momento che, avere una sede universitaria nella propria città, è una risorsa e una fonte economica rilevante a cui nessuno vuole rinunciare .

Quanto perda il Sud dall’emorragia di giovani è ampiamente discusso. Ma quanto perdono i giovani allontanandosi dalla propria terra?

L’identità è un patrimonio che garantisce, di generazione in generazione, un senso di continuità. Roger Scruton diceva che, in quanto umani, siamo naturalmente concepiti come relazione permanente tra morti, vivi e non-nati. Non possiamo escludere nessuna dimensione temporale. E ciò che ci lasciamo alle spalle non deve essere una frattura mai rimarginabile.

Molti sostengono che il Covid abbia messo in discussione il paradigma della globalizzazione: sei d’accordo? Se sì, questo redivivo localismo potrebbe incoraggiare i giovani del Sud a costruire il proprio futuro a casa?

Chi ritorna a Sud lo fa per questioni, purtroppo, meramente economiche. Le famiglie non possono mantenere spese così esorbitanti e, dunque, si riflette magari a malincuore sulla necessità di una inversione di tendenza, su un cambio di strategia. Credo, tuttavia, che la globalizzazione sia un processo irreversibile. Su questo sono stato sempre pessimista. Sono troppi gli elementi che concorrono in suo favore. Non ne sono entusiasta, ma è così!

Il periodo storico è intenso. Da un lato la riscoperta dell’identità, dall’altra il rinnegamento della storia plasticamente rappresentato dagli assalti alle statue. Che futuro ci attende?

 Non ci attende un futuro diverso dal presente. Siamo sotto attacco del “politicamente corretto”, che non è una moda o una tendenza del momento, ma una ideologia ben strutturata. Un modello che obbliga al consenso verso idee propagandate come moderne e liberali e lo fa senza l’uso della forza. Almeno all’apparenza. Perché poi, esso è un modello che si propone di far rispettare le diversità contro ogni intolleranza o razzismo, combatte con violenza e brutalità ogni pensiero non allineato, e perciò ogni diversità che non sia omologabile. La furia iconoclasta di queste settimane con la quale si vuole rivoluzionare la toponomastica, distruggere quadri e sculture, imbrattare e decapitare statue, dimostra in maniera plastica quanto siano intolleranti i difensori della tolleranza e illiberali i difensori della libertà. Un tempo, tutto ciò, si chiamava dittatura. Oggi lo chiamano progresso.

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