Sotto gli occhi di tutti quanti noi la progressiva limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali durante il «lockdown» che, ora, in una fase di abbassamento della curva dei contagi e delle morti, sembra solo segnare il passo ma non attenuarsi del tutto.

Federico Cenci, giornalista e scrittore, ci conduce lungo questi mesi difficili grazie ad un romanzo (Berlino Est 2.0, Eclettica Edizioni, euro 12) che è, allo stesso tempo, distopia e racconto, analisi su un tempo bislacco e inquiete confessioni. Un prospettiva di lettura diversa su un evento che sta cambiando le forme del nostro vivere.

Di seguito, grazie all’editore, riproduciamo il prologo e un capitolo dal titolo “La Messa è finita! Andate sul web

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Uscire di casa un giorno dello scorso marzo è stato come entrare in una macchina del tempo.

Nelle strade era improvvisamente calata un’atmosfera di mestizia. Complice anche il cielo grigio, ho rivissuto le stesse sensazioni che avevo provato, cinque mesi prima, a Berlino, dinnanzi all’installazione Panorama Die Mauer dell’artista Yadegar Asisi. Un’immagine gigante, fissata su una parete cilindrica, accompagna i visitatori in una giornata autunnale nella Berlino degli anni Ottanta. Anche grazie a effetti sonori e di luci, si viene assorbiti dalle scene di vita quotidiana a ridosso del Muro. Della zona Est della città colpisce la desolazione di strade deserte, di palazzi monotoni, delle ciminiere accese, delle saracinesche dei negozi abbassate. L’artista riesce a raccontare efficacemente l’oppressione di un controllo pervasivo da parte delle autorità della DDR: trincee, telecamere, torri di guardia dalle quali zelanti in uniforme e colbacco puntano binocoli e macchine fotografiche.

Ecco, all’indomani dell’approvazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che rendeva ancora più restrittive le misure per contenere l’epidemia di coronavirus, mi sembrava d’essermi ritrovato in una Berlino Est 2.0. L’inopinata sospensione di alcune libertà individuali, la solerzia delle forze dell’ordine nel neutralizzare i trasgressori, la paura negli occhi della gente: è come se avessi varcato il confine della finzione per immergermi – carne, ossa e anima – in Panorama Die Mauer, trasferito però nella Roma del 2020. Il clima da regime sembra aver permeato anche la gente. Diffusa è la smania da delazione. Se in Germania dell’Est, ai tempi della DDR, si aveva il maggior numero di delatori pro capite di tutti i Paesi del Patto di Varsavia, ovvero una spia ogni 59 abitanti (meno del 2%), nell’Italia ai tempi del coronavirus 3 cittadini su 4 (il 72%) ritengono giusto segnalare alle forze dell’ordine comportamenti altrui scorretti.

Necessario da parte delle autorità attuare misure per frenare la propagazione dei contagi, ma contestualmente occorre riflettere sulle conseguenze che tali misure potrebbero comportare. Guai a subire inermi la frase che stiamo sentendo continuamente: niente sarà più come prima. Se cambiamenti del nostro stile di vita dovranno esserci, che siano ponderati alle nostre reali esigenze, guidati dalla saggezza della classe politica e dall’attenzione della società civile. Non sia mai che, in nome della lotta al virus, si legittimino effetti collaterali duraturi capaci di corrodere libertà e clima sociale, violare la privatezza, censurare le opinioni. E poi la vita non può essere vissuta da remoto.

La socialità è un tratto inestinguibile dell’esistenza umana, che non può realizzarsi al di fuori della comunità. Se accettiamo che il web sostituisca la relazione fisica, ci condanniamo all’emarginazione individualista. Si evoca per il futuro prossimo la scuola a distanza.

La risposta a un simile scenario risiede nel buon senso e nelle parole di autorevoli insegnanti, i quali avvertono che la frequentazione scolastica non può essere surrogata dal digitale.

Le penne di grandi scrittori di romanzi distopici – cui il mio lavoro vuole essere un tributo – hanno spesso predetto il futuro. L’auspicio è che questa breve raccolta di appunti, nei quali si mescolano scenari di fantasia a pezzi di realtà, resti un umile contributo alla coscienza critica del lettore.

LA MESSA È FINITA, ANDATE SUL WEB

Andare fisicamente a Messa per un cristiano di Berlino Est è un’impresa. La funzione religiosa è diventato un appuntamento clandestino, che si svolge in luoghi nascosti e riservati. Non è che il Mega Partito abbia bandito la pratica religiosa, sia chiaro. È solo che l’ha assoggettata a sé. E l’ha snaturata, trasferendo la liturgia sul web e sul tubo catodico. È nata così la «Chiesa digitale». Niente più sacramenti. Tutto è virtuale. Ogni domenica, alla stessa ora, il canale di regime manda in onda una Messa. I fedeli si piazzano davanti allo schermo e seguono in diretta, magari mentre fanno anche altro, come fosse uno dei tanti prodotti del palinsesto di regime. Innanzi alla tv, allo smartphone o al pc il popolo è tutto uguale. Unico è il messaggio che deve entrare nelle case. Unica è l’omelia, impregnata di quegli stessi valori di pace, umanesimo, ecologismo, fratellanza sbandierati dalla propaganda del Minculpop. La parola “Dio” è eliminata dal vocabolario ecclesiastico. Il celebrante non è un prete in carne e ossa, ma un robot che indossa sul volto il simbolo del Mega Partito. Così la «Chiesa digitale» sopperisce all’assenza di vocazioni. Ma non tutti i cristiani si sono adattati a questa riforma 2.0. È nata così la «Chiesa delle catacombe». Fortemente invisa al regime, conta tra le sue fila schiere di fedeli laici e religiosi dissidenti al pensiero unico. Sono riluttanti all’idea di dover rinunciare, in nome di un feticcio virtuale, alla tradizione, alla grazia dei sacramenti, alla fede di sempre. La domenica si avvicina. Mi metto clandestinamente in contatto con i miei informatori fidati su dove poter partecipare alla Messa. Prendo nota e mi preparo ad andare, sapendo di incorrere in un qualche rischio. È domenica mattina. Esco con una busta della spesa per non dare all’occhio e mi dirigo nel luogo stabilito, non lontano da casa. Ad attendermi un ampio portone, sul quale busso accertandomi di non essere visto da nessuno. Prima di aprirmi, mi viene chiesto di pronunciare la parola chiave. Siamo nove o dieci fedeli e un celebrante. La sala è molto ampia. Ci schieriamo a un metro di distanza l’uno dall’altro, per evitare che, nel caso in cui ci scoprano, ci venga contestata, oltre alla «funzione religiosa non autorizzata», anche l’aggravante di assembramento. È curato ogni dettaglio liturgico: dalle pieghe della casula del celebrante alla disposizione degli oggetti sacri sull’altare. L’odore di incenso penetra nelle narici e aiuta raccogliersi in una dimensione di bellezza e realtà piena. Si procede solennemente fin quando il clima cerimonioso non viene spezzato da un forte rumore. Irrompono in sala un pugno di agenti, uno di loro con passo spedito raggiunge il pulpito, con modi fermi fa scansare il sacerdote e si prende la scena. «Signori, siete invitati a uscire immediatamente. Chi vuole partecipare a funzioni religiose, può farlo in tv o via Internet. Non sono autorizzate simili assemblee».

Eloquente il messaggio del Mega Partito: la Messa è finita, andate sul web.

 

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