Di Giuseppe Berto si diceva fosse sempre maldisposto nei confronti di Moravia ( …ne comprendiamo le ragioni) e che nella gelatinosa macchina letteraria ed editoriale italiana, fosse un cane sciolto. Ma non possiamo fermarci qui.

Anche il fatto che, tuttora, egli sia escluso dai libri scolastici nei quali si fa fatica a rintracciarne una seppur minima traccia di qualche suo lavoro, ne rende ancora più gradevole l’opera a chi non è avvezzo a conformismi vari.

E poi fu fascista, partì volontario per L’Africa Orientale nel 1935 e quindi combattente nella Seconda guerra mondiale. Ma dopo il conflitto, si allontanò da ogni ‘chiesa ideologica’ e, perciò, emarginato dalla cultura ufficiale, fu considerato traditore dai nostalgici del Ventennio e fascista da tutta la sinistra italiana.

Poche e sintetiche considerazioni che già inviterebbero alla sua lettura. Brevi e parziali annotazioni biografiche magari utili per farci riprendere in mano Il Male oscuro oppure Il cielo è rosso.

Contestualmente alle sue vicende e ai suoi scritti, può essere ugualmente fecondo dare uno sguardo alla biografia intellettuale di un altro dimenticato: Antonio Delfini.

Ce ne fornisce l’occasione un volume di Alessandro Gnocchi dal titolo Giuseppe Berto. Antonio Delfini. Scrittori controcorrente (Giubilei editore) da cui ‘rubiamo’ una frase che ne sintetizza la necessità di un rinnovato interesse per due scrittori poco noti al grande pubblico: «Berto e Delfini sono stati emarginati dagli intellettuali o dall’industria editoriale per eccesso di libero pensiero. Erano imprevedibili. Non appartenevano al mainstream sinistrorso né a quello destrorso, infinitamente più piccolo. (…). Essere liberi veniva loro spontaneo come a molti altri viene spontaneo gettare il cervello all’ammasso».

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