Ricevo e giro all’attenzione dei lettori questa lettera inviatami da Vivienne Cannito sulla complessa situazione della cittadina pugliese di Lucera.

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Lucera. Una città sotto scacco

Ai 33.059 abitanti di Lucera – cittadina della Daunia – vengono imposte scelte non essenziali per la comunità e foriere di rischi infettivologici e tossicologici, come posto in evidenza dal Responsabile Regionale della Puglia dell’ISDE.

 Sul territorio, ove operano già da tempo grosse aziende nel settore dello smaltimento dei rifiuti, si intende realizzare un nuovo impianto anaerobico per la produzione di biometano – accanto ad un già esistente e malfunzionante impianto aerobico -, per trattare 190.000 tonnellate annue di FORSU (Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani), 42.000 tonnellate annue di fanghi provenienti da impianti di depurazione delle acque civili o agroindustriali e 31.600 tonnellate annue di sfalci del verde.

Per un ammontare complessivo di rifiuti pari a 263.600 tonnellate annue.

Un quantitativo spaventoso, se si considera che i rifiuti prodotti nel Comune preso di mira per soffocarlo di rifiuti ammontano a 4.000 tonnellate annue.

 L’ideazione di tale operazione politico-amministrativa si fonda sulla ignoranza dei rischi che l’operazione comporta:

– L’impianto sorgerebbe in un “contesto rurale con prevalente valore ambientale, ecologico e paesaggistico”, così come risulta dalla classificazione urbanistica prevista dal P.U.G. del Comune di Lucera. Il territorio è ricco di masserie, distese di grano, vigneti, oliveti e campi di ortaggi;

– Ad appena 3,2 Km dall’area di ubicazione dell’impianto sorge un borgo abitato (S.Giusto) e la conduttura principale di acqua potabile del territorio;

– Il compost prodotto non è di qualità tale da poterlo utilizzare in agricoltura e, quindi, destinato ad essere conferito in discarica;

– Con la costruzione dell’impianto verrebbe compromessa la qualità e la produzione di tutti i prodotti agricoli locali, compreso il vino “Cacc’ e mmitt” che gode del marchio DOP attribuito dall’Unione Europea;

– E’ stato ignorato il rischio sismico del territorio individuato per la costruzione del mega-impianto: rischio sismico 2, cioè zona in cui possono verificarsi forti terremoti;

– Né è stato preso in esame il rischio archeologico.

Vero che non tutti hanno vivo il senso del rispetto per il passato, accecati dal desiderio di far cassa e, quindi, di realizzare unicamente progetti imprenditoriali.

Ciò, però, non sminuisce il valore oggettivo della storia dei popoli e l’impegno che uomini di cultura, ampie equipes profondono per la scoperta, la conservazione e la valorizzazione dei reperti archeologici……in questo caso a rischio sepoltura sotto giganteschi cumuli di “monnezza”. La zona in cui dovrebbe insistere il contestato impianto ha visto sorgere nel passato un villaggio neolitico di enorme interesse archeologico, oggetto di approfonditi studi da parte di esperti di varie università.

 Innanzi a tale stato di fatto, oggi, gran parte della popolazione, non solo contesta le procedure autorizzative poste in atto dalle amministrazioni comunale e provinciale e, chissà, se non anche regionale, ma si domanda il ‘perchè’ l’Amministrazione della cittadina saracena non emetta Ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati e, quindi, incontrollati, sotto una pensilina/capannone della Bioecoagrim, così come prescrive l’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), ovviamente con costi a carico di chi ha materiale responsabilità e non della popolazione, già così penalizzata da malattie e morti derivanti dall’inquinamento ambientale.

 Il tutto nella speranza che non debbano essere i posteri ad emettere l’ardua sentenza!

                                                                                                        Vivienne Cannito

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