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Chi non ha mai pensato di vivere, almeno una volta, e non in una diversione onirica, una vicenda come quella capitata al protagonista di Midnight in Paris, il film di Woody Allen? Ritrovarsi ai rintocchi della mezzanotte, ad essere prelevato da una vecchia Citroen e riportato nell’epoca che più si predilige. Nel caso in questione, gli anni Venti. Girare in quella Parigi viva e culturalmente frenetica, e magari incontrare Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, Modigliani, Picasso o Ernest Hemingway, e passare con loro lunghe notti al tavolo di un bar, perdendosi tra fumi, alcol e donne mentre si dibatte di arte e letteratura.

Un quadretto più o meno simile ci viene fornito dalla acuta penna di Gino Agnese che riporta alla memoria una vicenda poca conosciuta, quella dell’incontro tra il cinquantenne Marinetti e il trentaduenne Majakovskij in uno dei migliori ristoranti di Parigi (Marinetti/Majakovskij. 1925. I segreti di un incontro, Rubbettino, p.114). Il Futurismo li aveva uniti e lanciati nell’agone rivoluzionario, e anche divisi; il primo con Mussolini, l’altro con Lenin. Poi passò l’idea che il rivoluzionario italiano avesse “tradito la causa” e, in due convegni svoltisi a Mosca, nel 1923 e nel 1924, si riaffermò la convinzione che il legame con i futuristi italiani fosse oramai rotto. Ma Marinetti rimaneva il punto di riferimento per artisti e letterati dell’avanguardia russa. E nonostante si moltiplicassero i ”distinguo”, rappresentava per tutta una generazione di artisti un faro dalla luce intensa e fascinosa.

Quell’incontro fu, dunque, qualcosa di più di un banale appuntamento tra commensali. Un quotidiano moscovita «Vecernajaja Moskva», edito dal Mossovet – il soviet dei deputati del popolo di Mosca – sotto il controllo del CPSU, il comitato cittadino del partito, era infatti pronto a fare un resoconto della conversazione e a darne ampio risalto. E giustamente, fa notare Agnese, pare difficile immaginare «che senza un preventivo benestare dell’autorità politica la direzione di un giornale della capitale potesse assumersi la responsabilità di “dare la parola a Marinetti”, per così dire, ancorché in contraddittorio. A meno che non si aspettasse da lui un’uscita filosovietica». Poi non se ne fece più nulla, ma che si incrociassero diversi interessi dietro quella serata parve sin da subito evidente; non ultimo quello di cavar fuori dalla bocca di Marinetti qualche confessione indiretta.

I due erano nella capitale francese per motivi differenti. Marinetti tesseva i suoi incontri essenzialmente partendo da quell’oggettivo tesoro di idee, progetti, novità, rappresentato dall’Esposizione internazionale. Majakovskij, si fece coinvolgere indirettamente dalla rassegna ma, in realtà, era lì per ottenere un visto sul passaporto e andare a New York: «non pensava che all’America e a come e a quando vi avrebbe messo piede». Giudicava infatti quel Paese come la patria di una modernità tecnologica che stava sopravanzando ogni altra realtà europea….  paese del dinamismo tecnologico e del futurismo realizzato. E perciò, quale priorità di quella sua presenza su suolo francese, vi era il perenne bussare alle porte dell’Ambasciata dove veniva senza eccezione respinto. I rapporti tra Washington e la Russia dei soviet erano pessimi e la vicenda dell’incontro acquista toni ancora più surreali se solo si pensa che cinque giorni prima, degli attivisti comunisti avevano sparato contro un corteo della Jeunesse Patriotique causando tre morti e vari feriti. E il giorno dopo, a Mosca, la «Pravda» aveva rovesciato le responsabilità.

Eppure, Gino Agnese ci racconta di uno scrittore russo vestito in maniera rassicurante quando si presentava in Ambasciata. Una sorta di ricco borghese col «berretto old England, giacca “tre quarti” in pelle, leggera, pantaloni con la piega ben stirata: e le ghette beiges, vezzose cupolette sopra le scarpe lustre». Ma poi, inspiegabilmente a tavola con Marinetti, per anatomizzare questa sua diversione dalla strada maestra della rivoluzione.

Con loro, quella sera, una scrittrice russa espatriata clandestinamente; Elsa Triolet, che in Russia si chiamava Ella Yurevna Kagan. Una presenza fondamentale. Senza Elsa non sarebbe stato possibile alcun dialogo. Majakovskij aveva scelto con molta risolutezza di non imparare le lingue; Marinetti non comprendeva il russo ma aveva conseguito il baccalaureato alla Sorbona, e quindi poteva conversare in francese proprio grazie all’ausilio della donna.

Sulla globalità dei contenuti resta un alone di mistero. Sia in Francia che in Italia, amici e conoscenti dei due, non seppero dell’incontro. Probabilmente imbarazzante per entrambi viste le opposte idee politiche. A rendere il tutto ancora più enigmatico fu ancora Elsa, che diventata vecchia, continuò a ripetere di ricordare poco o nulla di quell’incontro. In verità, per lo scrittore russo la grancassa intorno all’Expo allettava in misura irrisoria. Si concentrò molto su quella cena tanto da segnarsi su un foglietto scritto a macchina alcune domande da fare a Marinetti. Una sorta di test di cui abbiamo saputo solo grazie ad uno slavista italiano che, cinquant’anni dopo, ne ritrovò una copia presso un archivio statale di Mosca. Nove punti col duplice scopo di «appurare quali propositi operativi Marinetti coltivasse e indurlo a negare o a confermare fatti e situazioni, come se dall’insieme delle risposte si potesse poi ricavare un suo aggiornato profilo». Domande che paiono squisitamente culturali, tuttavia la scaletta – a leggerla nella sua interezza – parrebbe fatta apposta per appurare la sua posizione politica, e soprattutto per verificare la credibilità di alcune voci che accreditavano una sua svolta verso la sinistra. Tutto ciò che rimase furono invece due dediche nel taccuino di Majakovskij, e nulla più.

Dopo quella cena, Marinetti tornò nel vortice dei suoi impegni. Majakovskij, non riuscendo a ottenere dall’Ambasciata americana il visto per gli Stati Uniti, spostò le sue attenzioni verso il Messico, viaggiando in cabina di prima classe, proprio come un ricco borghese europeo. Ma resta questa contraddizione di fondo, questo nodo non sciolto su un Majakovskij che briga per andare in America, mentre “fa l’esame di ortodossia” a Marinetti e, al contempo, agisce in modo che dei contenuti di quel colloquio si venga a sapere poco o nulla.

 

 

 

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