Coronavirus

Il treno della vergogna

Il treno della vergogna

La paura, per carità, va compresa. Ma vedere centinaia di persone correre in stazione, a Milano, per prendere l’ultimo treno, l’Intercity che alle 23.20 di ieri sera è partito da Garibaldi, per lasciare la Lombardia messa in quarantena dal governo è davvero vergognoso. Non solo perché svela un’isteria immotivata, ma perché è la rappresentazione plastica di un pericoloso egoismo. Davvero nessuno di questi ha avuto la forza di starsene tranquillo in casa, magari a guardarsi una serie tv di Netflix o a leggersi un buon libro? Davvero hanno pensato, tutti ammassati negli scompartimenti e nei corridoi, di riuscire a sfuggire così dal contagio del coronavirus? Davvero a nessuno di loro è venuto in mente che, se portatore sano, rischia nei prossimi giorni di contagiare qualche parente o amico e quindi di allargare ulteriormente l’epidemia?

Certo, ieri sera, qualcuno ha pasticciato. La fuga di notizie sulla bozza, che estendeva la zona rossa alla Lombardia e ad altre province in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna e che anticipava le restrizioni durissime per 16 milioni di persone che vivono in queste zone, ha sicuramente contribuito a scatenare il panico. Verissimo. Ma non credo che sarebbe cambiato poi tanto se i “prodi”, che ieri notte hanno assaltato la stazione Garibaldi di Milano (video), avessero appreso il contenuto del decreto questa mattina. La corsa a fare la valigia e a salire su un treno o un autobus, che li avrebbe riportati a casa, sarebbe stata identica. Sui social l’esodo ha scatenato un odio violentissimo: chi è rimasto ha accusato chi è partito di aver voltato le spalle a una Regione che, dopo averli accolti, gli ha dato tanto; chi invece si troverà i fuggiaschi tra le scatole, li teme come degli “untori”. Il rischio, a ben vedere, è proprio questo: questa fuga immotivata finirà per estendere ulteriormente il contagio facendo esplodere l’epidemia anche nel Sud Italia e trasformando l’intero Paese in una immensa “zona rossa“. Ci auguriamo, ovviamente, che questo non accada. Ma la minaccia è alta.

Da quando il coronavirus ha iniziato a mordere l’Italia, abbiamo dovuto assistere a drammatici esempi di egoismo. In molti si sono voltati dall’altra parte lasciando il nostro Paese da solo a combattere in prima linea. Lo hanno fatto la Francia e la Germania. E, ovviamente, lo ha fatto pure l’Unione europea scaricando l’emergenza sulle nostre spalle. Tuttavia, c’è chi quotidianamente si impegna in prima persona in questa lotta. Penso ai medici, agli infermieri e, più in generale, a tutto il personale che da settimane guarda in faccia il virus. Sono loro i nostri angeli. Con turni massacranti, stanno gestendo una situazioni al limite della sopportabilità umana. E penso anche a quegli imprenditori che hanno messo mano ai portafogli per donare svariati milioni alle strutture ospedaliere. Soldi che potranno servire a trovare una cura, a comprare nuovi macchinari per tenere in vita i contagiati, a coprire gli stipendi dei nuovi assunti o, più semplicemente, per salvare anche solo una vita in più.

Guardiamo, quindi, a loro.

E affidiamoci a questi eroi che restano e che tutti i giorni combattono anche per quelli che scappano.

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