E guarirai da tutte le malattie perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te (Franco Battiato)

Europa Donna – il movimento di opinione lanciato nel 1993 da Umberto Veronesi che dà voce ai diritti delle donne operate al seno – sta divulgando in questi giorni l’obbiettivo sanitario europeo cui dovrebbero tendere gli ospedali entro il 2016. E cioè, per affrontare il carcinoma alla mammella, in Italia dovrebbero formarsi 30 Unità per il cancro (Breast Unit), ossia centri specializzati che si prendano cura della paziente, dalla diagnosi precoce alla riabilitazione. La presidente del movimento, Rosanna D’Antona, ha precisato che “questi centri dovrebbero essere distribuiti in modo capillare lungo la Penisola, in pratica uno ogni 2 milioni di abitanti, perché è finito il tempo dell’OSPEDALE SOTTO CASA”.

D’Antona ha aggiunto: “Realizzando la direttiva europea le donne non saranno più costrette ad affidarsi a unità generiche dove corrono il rischio di ricevere trattamenti non adeguati, oppure a rivolgersi in regioni più avanzate dal punto di vista dell’offerta sanitaria”.

Voi cosa ne pensate?

Tutte noi chiediamo professionalità, serietà. Ma, come ogni persona – nella salute e nella malattia – anche qualcos’altro. Di non essere soltanto un numero. Di non diventare soltanto cavie. Di non alimentare soltanto un insaziabile business.

Fra le persone che NON VOGLIO DIMENTICARE c’è una donna che ho incontrato nell’ambulatorio di oncologia all’ospedale San Paolo di Milano. Eravamo nella stessa sala, assieme a decine di persone, in attesa di fare la chemioterapia. Di lei mi aveva colpito il sorriso dolce e lo sguardo intenso, benché da un occhio non vedesse più. Il suo male era partito da lì, infingardo e silenzioso e aveva colonizzato il fegato. Era approdata al San Paolo dopo aver tentato una cura sperimentale – fallita – in un altro centro. “Quando i medici avevano capito che quella sperimentazione non avrebbe avuto esiti positivi, mi hanno detto che per sottopormi a una qualsiasi chemioterapia potevo rivolgermi a un qualsiasi ospedale” spiegava lei. E si capiva che, oltre che dal modo sbrigativo di congedarla, era stata ferita da quei “qualsiasi”.

Perché vi racconto questa storia? Per dirvi cosa aveva meravigliato questa donna DA RENDERLA FELICE nonostante la sua convinzione di non avere più molto tempo da vivere, “qui i medici ti CHIAMANO PER NOME – diceva a bassa voce per non disturbare – e da, una volta all’altra, ti riconoscono. Non mi era mai capitato. Pensi che la dottoressa mi ha dato perfino il suo numero di telefono e ho potuto chiamarla da casa”.

Sempre al San Paolo ho incrociato un’altra donna che era stata operata in un altro ospedale. Là aveva fatto una quadrectomia alla mammella e 28 giorni di radioterapia ma, poi, quando è arrivato il momento di iniziare le cure farmacologiche, se l’è svignata. Come mai? La ritenevo fortunata perché il suo tumore era stato preso prima del mio e le era stata risparmiata la chemioterapia. “Finita la radio nessuno mi ha telefonato a casa, mi sono fatta viva io. A fatica dopo decine di chiamate ho parlato con una dottoressa che mi ha prescritto UN ANTITUMORALE PER TELEFONO, il tamoxifene. Mi aveva proposto di farmi fare la ricetta dal medico curante… neanche fosse una caramella e NESSUNA VISITA, ZERO POSSIBILITA’ DI CAPIRE E DI FAR DOMANDE.

NON SAPPIAMO COME SARANNO LE BREAST UNIT, MA SAPPIAMO CHE COSì NON LE VOGLIAMO

E VOI COSA NE PENSATE? RACCONTATECI LE VOSTRE ESPERIENZE E COME VORRESTE I NUOVI OSPEDALI

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