Poco prima di Natale è scoppiato il caso delle protesi per il seno al silicone industriale (non a norma) prodotte dall’azienda francese Pip, Poly Implants Prothèses. Si è visto che, una volta impiantate, queste protesi –  che sono più economiche di quelle realizzate con il silicone medicale (a norma)  – si rompevano più facilmente delle altre: si è pensato che fossero anche cancerogene.

L’allarme è partito dalla Francia, dove 30mila donne portatrici di protesi Pip sono state invitate a presentarsi negli ospedali per sostituirle. Si calcola che i casi di tumore al seno nelle portatrici di protesi Pip in Francia siano da dieci a venti, ma non è dimostrato il nesso di causa-effetto. Le autorità francesi hanno chiarito che il reclutamento per la sostituzione va fatto con “urgenza” per quanto non esista un “rischio conclamato di contrarre il cancro”.

L’azienda ha venduto 300mila protesi in 65 Paesi dal ‘91 fino al marzo 2010 quando ha cessato l’attività (ma pare che le protesi scadenti siano quelle prodotte dal 2001 al 2010) e il suo fondatore Jean Claude Mas si è difeso dicendo di aver utilizzato “un gel alimentare non autorizzato ma non tossico”. Analisi successive hanno però dimostrato che all’interno delle Pip compaiono anche un additivo per carburante, il Baysilone oltre al Silopren e al Rhodorsil, usati nell’industria per la gomma.

Sull’onda di queste informazioni anche la Gran Bretagna – che in un primo momento aveva smorzato gli allarmismi – ha aperto un’inchiesta e sta valutando se invitare le inglesi a rimuovere le protesi (l’operazione costerebbe 150milioni di sterline a carico dei contribuenti).

E in Italia? Si calcola che siano 4.300 le portatrici di Pip. Il ministero della Salute ha pubblicato un’ordinanza sulla gazzetta ufficiale del 31 dicembre 2011 (si può scaricare da www.salute.gov.it) dove chiede a tutti gli ospedali e alle cliniche private, accreditate e autorizzate, di compilare un elenco delle portatrici di Pip dal primo gennaio 2001 a oggi. Il servizio sanitario si farà carico degli interventi quando comparirà “l’indicazione clinica”.

Abbiamo chiesto a Maurizio Nava, direttore della chirurgia plastica e ricostruttiva dell’istituto dei tumori di Milano, come ci deve comportare davanti a questa emergenza e se di emergenza si tratta.

“Tutte le donne che si fanno ingrandire il seno per motivi estetici o di salute e che hanno una protesi in silicone dovrebbero possedere anche un libretto con le caratteristiche della protesi, una sorta di carta di identità (chiarezza su materiali, azienda produttrice e data di intervento) rilasciata dall’ospedale o dalla clinica.  È un diritto della paziente richiederlo”.

E se qualche donna non ha questo libriccino e non sa cosa le è stato inserito nel seno?

“Dico: niente panico. Non c’è nessuna certezza che sia stato il silicone industriale a provocare quei tumori. Nel mondo occidentale, purtroppo, una donna su otto sviluppa un cancro al seno”.

Ma cosa può provocare nel corpo il silicone non autorizzato?

“Si è visto che le protesi così realizzate sono più fragili e si rompono con più facilità. Ma anche le altre protesi si possono rompere…”

Una donna se ne accorge?

“Sì perché cambia la forma del seno. Poi possono comparire rossori, irritazioni e dolore dovuto all’infiammazione dei tessuti. Il consiglio è: se una donna manifesta questi sintomi si rivolga all’ospedale o clinica dove ha fatto l’intervento, se non ha sintomi, anche se indossa una protesi Pip, stia tranquilla”.

Si sospetta che il silicone scadente sia cancerogeno (per ora è solo un sospetto), c’è questo sospetto per quello medicale?

“Assolutamente no. Un’ampia indagine condotta su 2 milioni di persone fra Canada e Usa ha dimostrato che non c’è un aumento dei casi di cancro nelle portatrici di protesi. Su quello industriale non ci sono studi. C’è un altro fatto: le protesi di buona qualità hanno un gel ‘coesivo’, che, in caso di rottura, si comporta come un solido e non come un liquido, non dilaga, insomma”.

Può succedere che una protesi si rompa senza che la paziente se ne accorga?

“Sì, possono comparire piccole lesioni. Per questo a 10 anni dall’intervento si consiglia una risonanza magnetica ben fatta. Ecco, direi alle donne che non sanno che protesi indossano e che non si sentono tranquille di fare piuttosto una risonanza in più”.

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