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Vi invito ad ascoltare attentamente le parole di Umberto Veronesi.

Era il 2006 quando il noto oncologo annunciò alle telecamere i risultati “eccellenti” di uno studio appena pubblicato su Annals of Oncology (17: 1065-1071). La ricerca rivelava che un farmaco, la fenretinide, derivato della vitamina A e appartenente alla classe dei retinoidi, aveva la capacità di “inibire la cancerogenesi mammaria”. Ossia poteva “prevenire il cancro della mammella e probabilmente anche della pelle e della gola”. Non si trattò di un test sui topini ma di uno studio multicentrico su donne, randomizzato cioè con gruppo di controllo e di fase III, durato ben 14 anni.

Coinvolte 2.867 donne dai 30 ai 70 anni. Avevano avuto tutte un cancro al seno. A metà del gruppo fu data per 5 anni la fenretinide (200 mg al dì), dopo l’intervento e l’eventuale radioterapia, all’altra metà solo un placebo. I ricercatori  dimostrarono che la fenretinide riduce il rischio di recidiva  fino al 50%, nelle donne che non erano ancora in menopausa e che tale effetto si manteneva nel tempo anche dopo i 5 anni di trattamento

La molecola, come ripete Veronesi nel video e come, decenni prima di lui, rivelò Luigi Di Bella –il fisiologo siciliano che usava l’acido transretinoico nella terapia dei tumori solidi e in quelli del sangue già alla fine degli anni Sessanta  – non è affatto tossica, non è mutagena (ossia non altera il DNA) ma è potenzialmente teratogena (può danneggiare il feto, quindi non va assunta in gravidanza e nei mesi prima del concepimento).

Il lavoro ha dimostrato che la fenretinide regola la crescita, la differenziazione e l’apoptosi cellulare (l’apoptosi è la naturale morte delle cellule, processo fisiologico che non appartiene alle cellule tumorali). E poi, sentite: “A differenza del tamoxifene che agisce solo sui tumori con recettori positivi agli estrogeni (ER), la fenretinide induce apoptosi sia in ER positivi che in ER negativi”. Significa che il farmaco è adatto ai tumori non sensibili agli ormoni, ad esempio a quelli che esprimono la proteina Her2 e ai tripli negativi, i più difficili da curare!

Non è finita.  È emerso che la fenretinide è uno dei principi attivi più efficaci nel contrastare tumori con mutazione genetica BRCA1, caratteristica comune all’1% delle donne colpite da cancro al seno.

Che fine ha fatto questa molecola che Veronesi giudicò promettente nel 2006?  Non è in commercio. La produce la farmacia dell’Istituto europeo di oncologia, Ieo, soltanto per 43 donne che rientrano in un nuovo studio iniziato nel 2010. Spiega Maria Clara Varricchio, clinical monitor (ossia responsabile della correttezza del procedimento), della Divisione di prevenzione e genetica oncologia dello Ieo.

“Visti i precedenti risultati, e cioè che il farmaco ha dimostrato di prevenire le recidive, abbiamo voluto testare se questo è efficace anche nel prevenire l’insorgere del tumore”. Le pazienti hanno dai 20 ai 46 anni, sono tutte portatrici della mutazione genetica dei geni BRCA1 o BRCA2 (significa che hanno un’alta percentuale di sviluppare un tumore all’ovaio o al seno durante la loro vita).

Perché così poche donne per testare una molecola non tossica e, come dimostrato dallo studio dell’Annals of Oncology, efficace su più donne rispetto al tamoxifene?

“E’  estremamente difficile reclutare le  partecipanti perché questo farmaco potrebbe provocare malformazioni nel feto e chi partecipa allo studio è in età fertile”.

 E le quarantenni o trentacinquenni che hanno già avuto figli ?

 “Teoricamente sì ma non dobbiamo dimenticare che spesso le 40 enni preferiscono la strada della chirurgia profilattica, cioè si fanno asportare le ovaie”.

Perché le ovaie?

“Perché l’alterazione dei geni BRCA-1 e BRCA 2 coincide con un aumentato rischio di tumore al seno ma anche a quello dell’ovaio. Inoltre, la rimozione delle ovaie protegge anche dal tumore al seno.”

Però con la fenretinide si potrebbero salvare seno e ovaie…

“Questo in effetti è proprio l’obiettivo dello studio in corso, quindi al momento l’unico modo per assumere la fenretinide è all’interno della sperimentazione clinica. Abbiamo recentemente introdotto un emendamento che consente che vengano inserite nello studio anche donne che hanno già avuto un tumore al seno, purchè portatrici di mutazione genetica e non in menopausa”.

Quindi dopo la diagnosi di tumore e subito dopo l’intervento?

“No, dopo l’intervento e solo dopo aver terminato tutti i trattamenti oncologici stabiliti nei protocolli”.

 

 

 

 

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