Grazie ad Annamaria ho saputo che ci sono due regioni, la Toscana e il Piemonte, che rimborsano una parte della cifra spesa per acquistare la parrucca. Il bonus è di 300 euro in Toscana, di 250 in Piemonte.

La prima delibera toscana risale al 2007, in Piemonte si partì tre anni più tardi. Lo sconto è per tutte le donne costrette a gestire gli effetti collaterali della chemioterapia. “È un provvedimento extra lea, cioè non rientra nelle voci per l’assistenza dovuta, è a discrezione delle amministrazioni – spiega Lucia Zambelli dalla Toscana – L’anno scorso abbiamo potuto aiutare 1.663 donne con 450mila euro”.

Più o meno duemila l’anno le pazienti che hanno avuto il contributo in Piemonte. “È una scelta precisa quella di destinare risorse all’acquisto della parrucca – riflette Raffaella Ferraris dell’assessorato sanità – noi abbiamo sempre collaborato con le associazioni che aiutano le donne operate”.

E le altre regioni, la Lombardia ad esempio? Si chiede Annamaria. Al momento nessun rimborso. Abbiamo girato la domanda al neo assessore, Mario Melazzini, oncologo. In attesa che ci risponda, faccio un salto a ritroso e vi parlo della mia parrucca.

Non l’ho mai amata e non vedevo l’ora di liberarmene. Eppure, associate al mio caschetto finto, oggi sommo tante cose. La prima e fondamentale riguarda il senso di quelle cure. Ricordo che cinque anni fa sarei stata disposta ad accettare perfino il doppio della chemio in vena pur di arrivare serena alla fine del tunnel. Ero convinta che sarebbe stato “il rimedio” perchè così mi era stato detto, perciò non avrei dato importanza al vomito o alla testa pelata. In quella bolla di incoscienza ho affrontato i miei quattro cicli.

Alle associazioni e agli assessorati sensibili ai disagi delle donne va tutta la mia stima. Sono convinta che vivano anche loro nella bolla. Il velo cade quando ci si ammala e la mente è disposta a cercare.

Io oggi so che se dovessi un giorno riacquistare una seconda parrucca sarà per un’alopecia non provocata dalla chemioterapia. Perchè un’eventuale ricaduta del cancro e le conseguenti metastasi le affronterei come ha fatto Michela o come Marina o Franca.

L’altra sera sfogliavo “Vita e salute”, mensile dell’omonima onlus, che ha la direzione scientifica di Franco Berrino, epidemiologo dell’istituto tumori di Milano. Ne ho apprezzato l’editoriale di Ennio Battista che invita a non fidarsi della pubblicità di uno yogurt “che previene l’osteoporosi”, esempio di messaggio “che crea una barriera culturale alla buona informazione”. Poi sono passata al servizio “Se la chemioterapia non fa paura” e, aimè, ho trovato proprio i messaggi che innalzano la barriera di cui sopra ( sono sicura che la colpa non sia della giornalista perchè chi non ha avuto nè il cancro, né la curiosità ad esso collegata, galleggia nella bolla ). Ho letto: “chemioterapia è una parola che fa ancora paura (…) Anche una terapia antibiotica è, in senso stretto, chemioterapia, ma oggi questo termine si usa per indicare i farmaci per trattare il cancro, spesso di origine naturale: molti dei principi attivi utilizzati nascono da estratti di piante anche se raffinati o addirittura riprodotti in laboratorio…”
(Eh, anche la cicuta è naturale, eppure è mortale!)

Il fatto è che a noi pazienti non importa un bel niente sapere che la vincristina derivi dalla Pervinca del Madagascar, vogliamo capire come agisce nel nostro corpo, che tipo di danno crea e in che misura questo effetto è irreversibile. Sono informazioni fondamentali per poter scegliere, chi è malato deve sapere se dopo le dosi massime consentite (da chi e quando?) di cisplatino si ritrova su una sedia a rotelle!

Eppure nessuno ce lo racconta, nè il giornale di Berrino, nè l’oncologo che ci cura, il quale, se sufficientemente preparato, a proposito del cisplatino – che si continua a usare da mezzo secolo (alla faccia dei miliardi spesi in ricerca) – vi dirà “che il meccanismo d’azione è ancora oscuro” ( ma quando venne approvato e su quale gruppo di pazienti? ).

Tornando all’articolo: “…fortunatamente oggi la chemioterapia non è più la sola arma (?) ma fa parte di un ampio mosaico di terapie che comprende farmaci mirati, come gli anticorpi monoclonali, le terapie ormonali e gli inibitori della crescita tumorale” . Tutti noi, che ci siamo passati, sappiamo che questi farmaci vengono dati DOPO la chemio e non AL POSTO della chemio, la spiegazione è sorprendentemente identica per tutti: “È stato dimostrato che l’avveniristico ritrovato biologico potenzia gli effetti della chemio… e via così”.

Per vedere il mondo fuori dalla bolla suggerisco di telefonare all’istituto di ricerca Ramazzini di Bologna. È il centro che studia ed esamina gli effetti delle sostanze tossiche sull’uomo. Il direttore, Morando Soffritti, non fa giri di parole : “A un malato di cancro basta togliergli la chemio per vederlo stare meglio”.

PS. La foto col parrucchino risale al marzo 2008, ero alla festina di Pietro, il figlio di amici, che ho visto nascere e che quel giorno compiva 8 anni. La parrucca l’ho gettata via a fine giugno, ricorrenza dell’onomastico di mia nonna. Da quel momento ho sfoggiato un taglio alla marines: mi sentivo leggera come una farfalla, anche se non avevo ancora cominciato a volare.

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