Provo a tradurre un’emozione che ho colto su internet, a difesa di Stamina. Eccola: “Da settimane chi critica Stamina allude a chissà quali interessi commerciali. Eppure i media tacciono su altri fatti scandalosi.

Ad esempio, si è appena saputo del successo di Telethon per la cura di 2 malattie genetiche” ( la leucodistrofia metacromatica, la stessa malattia della piccola Sofia e la sindrome di Wiskott-Aldrich, entrambe trattate con successo dal virus HiV modificato che funziona da vettore, la terapia è stata messa a punto dall’istituto San Raffaele e da Telethon. Il lavoro è apparso su Science, cliccate qui).

Prosegue la denuncia: “Nessuno ricorda che in Francia, 5 anni fa, si annunciò la vittoria di un’altra malattia genetica (l’ adrenoleucodistrofia) trattata anch’essa con vettori lentivirali (il virus modificato entra nella cellula trasportando il farmaco).

E nessuno fa presente che una compagnia privata quotata in borsa, la Molmed, fondata e presieduta da Claudio Bordignon che è stato per anni il direttore del centro Telethon del San Raffaele, ha i brevetti per produrre questi vettori lentivirali ( capaci di curare le prime due malattie, l’ adrenoleucodistrofia e una quarta,la Ada-Scid )”

Cosa c’è di scandaloso secondo i sostenitori di Stamina?

Che Claudio Bordignon sia stato per anni il direttore del centro Telethon del S. Raffaele e abbia ricevuto per anni i finanziamenti (provenienti da donazioni Telethon) per trovare la cura. I sostenitori di Stamina puntano il dito sul conflitto di interessi fra le due cariche rivestite da Bordignon e in più, affermano che la compagnia di biotecnologie Molmed ha la “colpa” di vendere le sue carissime scoperte ai vari Stati, i quali, a loro volta, le acquistano con il denaro dei contribuenti.

Riflettiamo. Tutta la ricerca costa. E parecchio. Che bello accorgersi che questa ha portato frutto. Prima le 4 malattie erano senza cura e senza speranza, ora, finalmente sono stati trovati farmaci sufficientemente buoni, che paiono arrestare i processi degenerativi. I sostenitori di Vannoni, il cui metodo si prefigge di fare – e in alcuni casi ha fatto – proprio questo, arrestare il processo degenerativo con iniezioni di cellule staminali, non dovrebbero farne ora una questione di squadra. È pur vero che tra fondi e finanziamenti entrano in gioco migliaia di interessi e troppo denaro ( ci torneremo ), ma se il fine di ogni ricerca è quello di far star bene i malati, vivaddio, stavolta lo scopo non è stato smarrito.

A ben guardare, chi è alle prese col cancro, è messo peggio. Gli ultimissimi 2 farmaci usciti per noi, pertuzumab e aflibercept, cari come il petrolio, aumenterebbero la sopravvivenza di appena 4 mesi in cambio di devastanti effetti collaterali ( comunque si è riusciti a vendere la notizia sui media con suoni da grancassa, perchè lo Stato non ha ancora rimborsato i produttori. Sull’argomento consiglio l’ottimo articolo di Mario Villani, cliccate su Appunti) .

Ma qualcosa c’è di spiacevole nella vittoria Telethon-Molmed. Cosa ci impedisce di gioire come si deve davanti all’annuncio di una cura trovata?

È una questione di sincerità che è poi l’anima della fiducia. Quando Telethon raccoglie i fondi, con l’aiuto di balletti e concerti, non ci dovrebbe dire soltanto che lo fa “per la ricerca delle malattie genetiche” ma anche raccontarci quanti milioni vanno alla compagnia di biotecnologie Molmed, quanti alla società tal dei tali e perchè altre aziende sono state escluse dalle donazioni pubbliche.

La trasparenza deve esserci a 360 gradi, sennò è opacità.

La maratona fondi Telethon mi ricorda la storia degli abiti usati. A Milano i vestiti vecchi si raccolgono nei cassonetti gialli con scritto Caritas. Peccato che alla Caritas vada a finire solo una parte di quei vestiti. “Quelli in buono stato li vendiamo sui mercatini del sud Italia – mi rivelò il responsabile della cooperativa – quelli così e così li diamo ai poveri e i più malconci li riduciamo a brandelli e recuperiamo filati e bottoni (per venderli). Però non c’è nulla di male in quello che facciamo, la nostra cooperativa dá lavoro agli ex detenuti”. Certo che non c’è nulla di male a dare lavoro agli ex carcerati.

Però a noi piacerebbe leggere sul cassonetto dove vanno a finire i nostri abiti usati.

Per questo ho smesso di portarli lì. Li dò a un altro ente e il sabato successivo, giorno di mercatino gratuito, c’è già qualcuno che li indossa.

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