“Il cancro dimostra che Dio non esiste”. Così, al momento di abbandonare la direzione dello Ieo, in novembre, l’oncologo più famoso, Umberto Veronesi, ha abbandonato anche la spugna. Perchè è come se avesse detto: “Non abbiamo trovato il rimedio, la colpa è di Dio”.

Infatti di cancro si muore ancora. “Dopo Auschwitz è la sofferenza peggiore” ha affermato il fondatore dello Ieo.

L’altro giorno, Richard Smith che ha diretto il British Medical Journal per 13 anni, ha dichiarato: “Basta spendere soldi nella ricerca sul cancro, quella da tumore è la miglior morte possibile perchè ti lascia il tempo di prepararti all’addio”. Vuoi mettere la morte improvvisa o la lenta agonia della demenza?

Una delle sue domande ce la siamo posta anche noi: quanti soldi si raccolgono e si usano nella ricerca sul cancro? E quanti quanti passi in avanti abbiamo fatto?

Contemporaneamente è stata divulgata su Science una ricerca della Johns Hopkins University School of Medicine. Gli studiosi hanno conquistato le pagine dei quotidiani annunciando un fatto arcinoto: il cancro è imprevedibile. Salta fuori anche con geni perfetti (che magari si sono autoriparati subito dopo aver provocato il danno); salta fuori anche se si conduce uno stile di vita integerrimo e sanissimo. Salta fuori anche dopo 20 o 30 anni dal primo intervento chirurgico per rimuoverlo (ne è sfuggito un frammento, rimasto ben nascosto nel corpo, o sarà il corpo che ancora produce tumori?)

Toh… siamo complicati. Una doppia elica di geni e di comunicazioni fra geni. Un intreccio di enzimi e proteine permeabili agli eventi esterni. Talvolta ingorghi e incidenti. Un miscuglio di materia e psiche, di nutrimento e scorie, di perfezione e imperfezione.

Il genoma non basta a raccontarci. Eppure con la mappa del dna avremmo dovuto avere le chiavi del mistero in mano.

E lo stile di vita? Pochi i tumori che affliggono con certezza obesi o fumatori incalliti, sostengono i ricercatori. Su 31 tipi di cancro, soltanto 9 sono da attribuirsi allo stile di vita o a geni difettosi individuabili. Conclusione: “I restanti 22 sono frutto del caso”. E qui, come avviene da secoli, si chiama “caso” quello che non si riesce a spiegare. Infatti è arduo scoprire se un tumore indotto dallo stile di vita è stato provocato dall’hamburger o dal benzene, dalle onde elettromagnetiche o dai pesticidi.

C’è un filo conduttore che unisce il Veronesi-pensiero alle conclusioni dei ricercatori della Hopkins. Con tutto il rispetto per l’ateismo di Veronesi, pensiamo che a non esistere non sia Dio, ma la scienza onnipotente. Quella dei proclami assoluti (“siamo arrivati a curare il 98% dei tumori”) . Quella onnisciente e autoreferenziale (“fuori dalla scienza c’è solo stregoneria”) . Quella che non vacilla mai e ci fa credere di essere diventati invincibili.

Eppure, per crescere, c’è bisogno di gettare luce su ciò che non si conosce; di ricredersi, se necessario, così da spostare più in là i confini del “caso”.

Lo dimostra la guarigione dall’ebola del medico di Emergency, Fabrizio Pulvirenti. Sieri e farmaci sperimentali sono arrivati da tutto il mondo. Abbiamo seguito con trepidazione i bollettini che ne ripercorrevano l’andamento. Chissà se funzionerà, ci chiedevamo. Sono tutte medicine di cui non si conosceva l’effetto. Avrebbero potuto essere acqua fresca o veleno di serpente. Eppure si è accettato di provarle. Per una questione di vita o di morte. Questo è etico: mettere sulla bilancia i valori. E il piatto con il medico eroe ha pesato più di ogni altra regola.

Siamo felici per questo. Ma non possiamo fare a meno di pensare alla persecuzione inflitta ad altri malati gravi a cui sono state proibite cure compassionevoli già autorizzate in ospedale, le infusioni Stamina.

E quanto stridono le dichiarazioni del ministro Lorenzin, oggi per la soddisfazione dell’ebola sconfitta con terapie non sperimentate, ieri per l’abolizione di Stamina perchè non sperimentata.

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