Caso Stamina, mercoledì 18 il Gup di Torino si pronuncerà sulle richieste di patteggiamento.  Contemporaneamente,  in Senato, verrà divulgata la relazione sull’indagine conoscitiva svolta dalla commissione Sanità. L’agenzia Ansa ha però anticipato quale sarà la richiesta che i senatori vorrebbero addirittura trasformare in  legge e cioè  – sentiteche  “in sede di giudizio non dovrebbe più essere solo un giudice a decidere se un malato ha diritto o meno a una terapia ma il magistrato verrebbe affiancato obbligatoriamente da un Pm e da un rappresentante del ministero della Salute”.

Sì, abbiamo capito bene. L’obiettivo – scrive Ansa – “è quello di impedire che trattamenti terapeutici non validati scientificamente possano essere autorizzati semplicemente per mezzo di sentenze”. La presenza di un rappresentante del ministero sarà garanzia della “validità scientifica della terapia richiesta”. E il pm? Indispensabile per “proporre l’impugnazione dell’eventuale via libera da parte del giudice”.

E così i giudici chiamati a pronunciarsi in materia di salute verrebbero trasformati in statue di cera. Se vogliono restare, nei processi, ci restino da figuranti: i depositari della  Verità non accetteranno più imprevisti. Se una cura è decisa a tavolino con un protocollo blindato (e i richiami deontologici sono già in linea con questa logica) a cosa serve un giudice?

Scusino, lor senatori, ma un malato che si prende la briga di andare dal giudice è una persona che ritiene di aver subito un’ingiustizia, chi lo garantirà se dovesse passare la sciagurata proposta?

Finora abbiamo visto giudici sentenziare a favore dei malati quando:

1) Le leggi non vengono  rispettate (come la  57 sulla continuità terapeutica per chi iniziò Stamina a Brescia).

2) I malati non possono sopportare le terapie aggressive di protocollo, sono considerati orfani di terapia e si orientano su cure alternative (siamo ancora liberi di farlo ma a pagamento, si chiede pertanto al giudice il rimborso dell’unica terapia possibile).

3) I malati non guariscono con le terapie di protocollo ma migliorano con le alternative. Si veda l’ultima sentenza di Foggia a favore di due donne che hanno fermato le metastasi da tumore al seno con metodo Di Bella e non con chemio e radioterapia. Perciò hanno chiesto il rimborso delle spese per le cure (qual è il senso di offrire chemio e radio anche quando non funzionano?).

Siamo sicuri che la proposta dei senatori sia democratica?

Condividiamo che la garanzia della “validità scientifica” di una terapia coincida con il divieto di rivolgersi in giudizio?

E quei senatori che non si identificano nel pensiero Unico si faranno sentire?

 

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