Proviamo a metterci nei panni di Luciano Cipriani. Militare dello Stato italiano, impegnato nelle missioni all’estero, dall’Albania al Kosovo all’ Afghanistan. Marito e padre di due figli. A 45 anni scopre di avere un tumore al cervello, glioblastoma multiforme di IV grado. Prognosi infausta. Significa che non si conoscono persone guarite da un flagello simile. C’è chi sopravvive pochi anni, chi se ne va prestissimo. A Luciano erano stati dati sei mesi di vita.

Cosa prova un uomo che ha sempre creduto nella patria – da aver scelto di difenderla con il suo lavoro – a scoprire che molti militari si ammalano di cancro e che l’uranio impoverito potrebbe esserne una causa?” si chiede la sorella Maria Grazia.

E cosa prova quest’uomo quando si accorge che le terapie che potrebbero allungargli la vita si fanno solo all’estero e che, malgrado una legge italiana ne preveda il rimborso, proprio a lui, servitore dello Stato fino a morirne, il rimborso è negato?” continua a chiedersi la sorella.

Questa è la storia di un militare che per salvarsi ha dovuto espatriare. Che in Italia si è sentito dire “per te non c’è più niente da fare”. E poi, per volontà – una tenace volontà – ha scelto di testa sua e ha ripreso a vivere (pagando però anche le cure di tasca sua).

La diagnosi risale a un anno fa, era maggio. Racconta la sorella Maria Grazia: “Luciano aveva perdite di memoria, era confuso. All’ospedale militare Celio di Roma gli trovano tre tumori cerebrali, uno particolarmente esteso. Ci affidiamo all’Humanitas di Milano dove sperimentiamo l’ottima professionalità e disponibilità dei medici. Purtroppo però, dopo l’esame istologico, si stabilisce che la massa è inoperabile. Fra luglio e agosto Luciano si sottopone a chemio e radio, in tutto 30 sedute, senza risultati: il tumore primario è cresciuto di due centimetri e le sue condizioni di salute aggravate. Luciano non cammina e non parla più”.

Dunque?

“Avremmo dovuto rassegnarci. Alcuni oncologi ci mostrano come unica strada la chemioterapia con prospettiva di vita brevi, altri ci suggeriscono di tenere Luciano a casa tranquillo per il poco tempo che gli resta, senza straziarlo con ulteriori terapie aggressive”.

Preso atto che in Italia il cammino è segnato – e grazie a un articolo che noi de il Giornale pubblicammo nel 2012, cliccate qui – Luciano ricomincia a sperare. Raccontammo la storia di Carlo, odontoiatra capace di districarsi fra le pubblicazioni scientifiche, che guarì la moglie trentenne da un astrocitoma anaplastico (tumore al cervello meno grave del glioblastoma) applicando tre terapie non riconosciute (metodo Di Bella, virus oncolitico e Crm197).

Ieri fu un marito a salvare la moglie, oggi è una sorella, Maria Grazia, professoressa di liceo a Chioggia (insieme alla moglie e ai figli), a studiare la strategia che rimetterà in piedi il fratello.

“Mi informo – continua il racconto Maria Grazia -.  Scopriamo che in alcune strutture tedesche si ottengono risultati importanti nel glioblastoma. Decidiamo di portare Luciano dall’oncologo-virologo Arno Thaller che gestisce una clinica specializzata nella cura dei tumori, la Praxis- Thaller a Markt Berolzheim, un paesino dell’Alta Baviera. Lì si applicano terapie con virus oncolitici, il New Castle e quello della rabbia modificato (VSV) oltre a immunoterapia con cellule dendritiche. A Luciano vennero fatti entrambi i virus più l’immunoterapia”.

I virus modificati in vena?

“Sì. Vengono applicati un port endocarotideo e uno venoso per far arrivare le molecole al cervello. Il corpo reagisce con febbre alta, 39 e 40 gradi”.

Come sapeva che questi virus potevano darvi qualche speranza?

“Gli ultimi studi sul glioblastoma attestano risultati sia con i virus oncolitici che con l’immunoterapia a base di cellule dendritiche. In Italia l’immunoterapia si sta sperimentando da poco tempo al Besta di Milano e al Bellaria di Bologna: a Milano Luciano è stato escluso (al Besta, poi, non usano virus). A Bologna ci hanno dato tempi di attesa molto lunghi, incompatibili con le aspettative di vita di pronosticate. Dopo la radio e la chemio le capacità neurologiche di Luciano erano molto compresse, non riusciva più a camminare e faticava a esprimersi. Ora si muove, parla e guida perfino”.

Da non crederci… Quanti cicli ha fatto suo fratello con i virus?

“Ne ha fatti quattro. In questi giorni sta facendo il quinto. Da Arno Thaller si applicano diverse terapie adiuvanti insieme a quelle principali. Grazie al port, Luciano ha ricevuto infusioni di vitamina C, curcumina e Artemisia (gli studi sulle proprietà antitumorali di vitamina C, curcumina e la pianta Artemisia sono numerosi, alcuni assai datati). Le cure sono abbinate all’ipertermia: si alza la temperatura del cervello a 45 gradi. Tramite computer si controlla il calore raggiunto, in questo modo le cellule maligne vanno in sofferenza”.

Poi?

“Dal secondo ciclo, alla clinica di Thomas Nesserhult, vicino a Gottingen, sono state abbinate le cellule dendritiche. Si tratta di cellule particolari del sistema immunitario: vengono prelevate e addestrate in laboratorio a riconoscere il tumore, così, una volta reiniettate, si comportano come un sistema immunitario rafforzato”.

Insomma, l’opposto delle terapie oncologiche tuttora in voga visto che la chemioterapia azzera l’attività dei linfociti, fondamentali nel sistema immunitario. E Luciano si riprende?

“Alla grande. A febbraio, dopo 6 mesi di trattamenti, non ha più tremori, cammina, è coordinato. Non ha più vuoti di memoria, ha ripreso appetito e gusto per la vita. La cartella clinica parla di miglioramento complessivo del 45 per cento”.

Quanto avete speso?

“Finora siamo a 60mila euro. I miei genitori, ottantenni, si sono disfati di un terreno pur di permettere al loro figlio di curarsi. Eppure c’è una legge italiana che parla espressamente di rimborsabilità per le ‘cure di altissima specializzazione in Europa’. La 595 del 1985, articoli 3 e 5. Ora però abbiamo finito i risparmi…”

Ma allora perchè vi è stato negato il rimborso?

“La Usl di Roma B si è comportata in modo contradditorio. Dapprima ci ha invitato a rivolgerci ai centri italiani, poi, quando abbiamo dimostrato che in Italia non si applicano immunoterapia e virus oncolitici ci ha risposto che si tratta di terapie ‘prive di evidenze scientifiche’. E pensare che nel 2011 lo scienziato Ralph Steinman, assieme ad altri due medici, meritò il Nobel per la medicina proprio per aver scoperto il ruolo delle cellule dendritiche nel combattere il cancro.  Abbiamo anche spedito alla Usl gli studi e i riconoscimenti ottenuti dai medici tedeschi. Entrambi gli oncologi si sono resi disponibili a collaborare con i colleghi italiani.

Non solo. Vi sono diverse sentenze della corte di Strasburgo a favore del rimborso di cure salvavita, la giurisprudenza italiana ed europea prevede la possibilità di rivolgersi all’estero, il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione…”

Domanda ai lettori: quanti oncologi in Italia accetterebbero di scambiare informazioni con Arno Thaller? E se anche i nostri medici comprendessero la bontà della cura, sarebbero poi liberi di applicarla?

 

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