Rieccomi a Cascina Rosa. Sì, il casolare con i cespugli di rosmarino, la lavanda e i cavoli in giardino, che condivide il cancello con l’Orto botanico di Città studi, a Milano. Quello del gruppo Diana, lo studio nazionale che, dal 2008 al 2012, ha reclutato donne da ogni angolo d’Italia, segni particolari: l’aver avuto un tumore al seno.

Cascina Rosa ospita l’istituto di Epidemiologia diretto dal professor Franco Berrino e, un giorno al mese, invita le donne a imparare a mangiare in modo sano. Si vuole capire se, come e quanto, l’alimentazione può contribuire a evitare una recidiva del tumore.

Faccio parte anch’io dello studio anche se rientro nel gruppo delle donne “seguite a distanza”. Dunque erano un po’ di anni che mancavo da Cascina Rosa. Ma l’altro giorno ho potuto apprezzare la lezione di pasticceria naturale della cuoca Antonella Maule, oltre a un saporito pranzetto preparato dagli allievi dell’Alberghiero Salerno.

Ho chiacchierato piacevolmente con persone che non avevo mai conosciuto e apprezzato il clima di festa. Che differenza rispetto al primo raduno… avevo altre compagne di cammino, eravamo alle prese con i postumi delle terapie, mi sentivo orrenda e vedevo brutte anche le altre. Ma non era solo una questione di aspetto esteriore – parlo per me – : c’era, a pesarmi, il fatto che non ero più me stessa. In uno dei momenti più importanti della mia vita, la scoperta del cancro, non avevo preso una sola decisione che mi riguardasse ma subito quelle di altri, senza comprenderle nè condividerle.

Proprio come se i miei genitori avessero deciso al posto mio cosa avrei dovuto studiare e chi avrei dovuto sposare. Carriera scolastica, matrimonio, malattia, sono tappe da vivere da protagonista, altrimenti ti trasformano la vita in un inferno.

Messa davanti alla possibilità di morire – pensieri che non frullano in testa quando si sta bene – avevo capito che a farmi soffrire era quel sentirmi sempre più simile a un burattino, oggetto di discussioni altrui e di terapie propinatemi secondo una logica da catena di montaggio, senza voce in capitolo su me stessa.

Ero imprigionata in quella rabbia quando mi avvicinai la prima volta a Cascina Rosa.

Appresi che ci avrebbero insegnato a stravolgere il menù quotidiano. Una rivoluzione che sentivo prossima (ridurre al minimo carne e latticini, eliminare le farine raffinate, molta verdura e frutta, molti legumi, pochi dolci e solo genuini). Tuttavia accolsi con sollievo il fatto di non dover partecipare assiduamente alle lezioni, stava iniziando in quel momento la mia ribellione e avevo sempre più bisogno di spazi. D’ora in poi avrei scelto ogni pillola ritenuta necessaria. E cambiato il dottore che non fosse stato disposto (o capace) a spiegarmi come funzionano le cose.

Ma la consapevolezza di un malato (anzi, di chiunque) non è completa se non sfiora anche il cibo: quanto sappiamo di quello che mangiamo? Quanti alimenti “finti” consumiamo da quando siamo piccoli? Quante merendine industriali, quanti cibi pronti addizionati di sali e zuccheri, quante calorie vuote che ingrassano e non nutrono? Quanti antibiotici distribuiti negli allevamenti di pesci e pollame, quanti ormoni, quanti pesticidi, quanti diserbanti su frutta e ortaggi?

Il capitolo è immenso e fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie, autentica eredità per chi verrà dopo di noi: per questo ce ne occuperemo ancora.

Intanto, se non abbiamo la possibilità di conoscere di persona chi produce quello che consumiamo, teniamo alta l’attenzione. E osserviamo, ad esempio leggendo le etichette, che molti legumi biologici in scatola contengono borlotti e ceci di coltivazioni extra Ue dove i disciplinari del biologico sono ben diversi da quelli italiani. Come si dice: fatta la legge, trovato l’inganno…

Il cibo non è solo sano o avvelenato ma contribuisce a regolare il nostro sistema ormonale, una dieta ricca zuccheri provoca resistenza insulinica, infiammazione, invecchiamento precoce, ci predispone al cancro e alle malattie degenerative. Al contrario, un regime alimentare vario, prevalentemente vegetariano, ricco di fibre, è capace di modificare l’espressione dei nostri geni. Quindi se ho un gene “malato”, di quelli che inibiscono il sistema immunitario, ecco che l’alimentazione di un certo tipo può evitare che io mi ammali.

Sull’argomento vi segnalo l’articolo che Franco Berrino ha pubblicato su La Grande Via: è un commento all’ultimo rapporto dei Cdc sulla riduzione della speranza di vita nei Paesi occidentali. Cliccate qui.

Che aggiungere? Che ho imparato dalla brava Antonella a preparare uno snack salato impastando di umeboshi i semi di zucca o girasole, leggermente tostati in padella; a fare una crema spalmabile per la colazione tostando le mandorle bianche in forno a 130 gradi e poi frullandole, senza aggiungere altro; a rendere appetitosa la crostata senza uova nè burro (solo 70 gr di olio di oliva), sostituendo lo zucchero con il malto di riso. “Tenete presente che il malto di riso rappresenta un momento di passaggio, il vostro obbiettivo è quello di arrivare a dolcificare con la frutta secca”.

Morale: il corpo non ha bisogno di zuccheri raffinati e l’anima ha bisogno di verità.

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