Non la abbiamo votata. Non da cittadini, non da parlamentari italiani, non in Europa. Eppure è bastata una delibera dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e, da gennaio, in 120 comuni italiani, sono state impiantate le antenne per il 5G, l’ultima tecnologia a radio frequenze millimetriche che permetterà connessioni super veloci. Il Belgio per il momento l’ha rifiutata e la Svizzera ha chiesto di sospendere le nuove installazioni. Cliccate qui. Il motivo? Non se ne conoscono gli effetti sulla salute. Non si sa se il livello delle radiazioni che nei prossimi anni interesserà la superficie terreste e l’atmosfera, ci farà male oppure no. E se dovesse danneggiarci, quanto potrebbe farlo e in che forma. Qui l’elenco dei comuni sperimentatori.

Carenza di studi.

“Sul 5G non esistono studi in vitro (cellule), in vivo (cavie) e epidemiologici – ci spiega Livio Giuliani, dirigente di ricerca e biofisico, uno dei massimi esperti dell’argomento nonchè estensore della prima legge italiana che nel 1998 fissò il tetto limite delle radiofrequenze. Allora c’era il 2G. “Da sempre sono previste cautele all’esposizione elettromagnetica, nel 1998 abbiamo revisionato gli studi scientifici esistenti e costruito la legge fissando per la prima volta un limite di esposizione (sei Volt metro per ogni intervallo di 6 minuti). Abbiamo aperto una strada sulla protezione ambientale che è stata poi seguita da molti Paesi. Durante il governo Monti però (effetto di un decreto) il nostro limite di sicurezza è stato “allentato” e l’esposizione calcolata nell’arco delle 24 ore. Così l’irradiazione consentita potrebbe aumentare di 1.440 volte in un intervallo di 6 minuti”. Cliccate qui.

Nessuno ha protestato?

“No, il provvedimento non ebbe risonanza: la misura venne inserita nel “decreto crescita”. È stata la prima volta che un organismo tecnico come la Cei (al quale ci siamo ispirati per costruire la nostra legge che in Italia detta le norme per fare le misure elettriche e magnetiche) è stato soppiantato da una decisione politica”.

Perché occorre prudenza riguardo all’esposizione ai campi elettromagnetici? Che cosa si sa oggi?

“Già gli esperimenti condotti negli anni ‘70 sui pulcini mostrarono l’effetto tossico dei campi elettromagnetici sulle cellule, in particolare si osservò un’alterazione della pompa del calcio intracellulare. Significa che le onde interagiscono con i fondamenti della vita. Nel 2011 la IARC (l’agenzia dell’OMS che ricerca le sostanze cancerogene) stabilì che le radiazioni comprese fra i 30 kHz e i 300 Ghz (quindi anche i 2,6 Ghz del 4G e i 27,5 Ghz del 5G) sono possibili cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2B). Sono almeno 10.000 gli studi che supportano il principio di precauzione (perfino il 27% di quelli finanziati dall’industria della telefonia)”. Cliccate a pag 2 per studi epidemiologici IARC.

Gli studi sul 2 e 3 G.

Dopo il 2011 sono stati condotti due importanti studi sperimentali sul 2G e sul 3G dall’istituto Ramazzini italiano e dal National toxological program (Ntp) americano. Entrambi sono arrivati agli stessi risultati analizzando diverse frequenze. È emersa nei topi un’incidenza maggiore di glioblastomi al cervello e di un raro tumore delle cellule del sistema nervoso di cuore e cervello (Schwann). Combinazione sono i due tipi di tumore emersi anche da uno studio epidemiologico sulla popolazione (Philps et al. Regno Unito): dopo 10 anni di utilizzo di telefono per almeno tre ore al giorno. “Una coincidenza tra studi osservazionali e sperimentali a migliaia di chilometri di distanza non può essere dovuta al caso” – ha fatto notare Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Area Ricerca dell’Istituto Ramazzini e responsabile dello studio italiano. Cliccate qui.

“Nei forti utilizzatori di cellulari sono state colpite le aree temporale e frontale, quelle più coinvolte durante l’uso del telefonino” ha spiegato Belpoggi durante un’audizione parlamentare nel mese di febbraio.

L’incidenza.

“L’evidenza degli studi in laboratorio e sull’uomo mostra un cancerogeno di bassa potenza – ha aggiunto Belpoggi – Ma si deve considerare che il numero delle persone esposte è altissimo, sono miliardi di persone in tutto il globo. È un problema di salute pubblica dato che molte migliaia (se non milioni) potrebbero essere le persone suscettibili ai danni biologici da radiofrequenze”.

La lezione del passato.

La ricercatrice del Ramazzini ricorda che “amianto, fumo di tabacco, benzene, formaldeide e altre sostanze hanno mostrato cancerogenicità in studi sperimentali decenni prima che le agenzie regolatorie prendessero provvedimenti restrittivi, fino al bando” (che il benzene fosse coinvolto in tutte le leucemie, ad esempio, si sapeva dal 1979. Eppure…)

Le aziende di tecnologia non sono tenute a presentare studi di sicurezza.

“La telefonia è inspiegabilmente una zona franca. Per le normative mondiali qualsiasi prodotto abbia un impatto sulla salute deve essere corredato da studi di sicurezza. L’industria chimica produce corposi dossier di valutazione del rischio per ogni nuova sostanza immessa sul mercato, altrettanto bisognerebbe fare per le radiofrequenze. Anche l’industria automobilistica oggi è soggetta a valutazioni sulla sicurezza meccanica e delle emissioni, perché no la telefonia mobile? Se mi metto alla guida di un mezzo, a certe condizioni, so che potrei rischiare, ma appunto ‘so’ e mi assumo il rischio.
Non solo. Tutti gli elettrodomestici devono superare i test di certificazione ma se non vi sono limiti chiari per il 5G come potranno certificare?
Ai governi ricordo che oggi abbiamo tutti i mezzi per condurre studi adeguati, perché non ci impegniamo?”

Sconti miliardari alle compagnie di telefonia.

Livio Giuliani fa notare che la gara per il 5G porterà nelle casse dello Stato la metà dei miliardi che arrivarono nel 2000 per il 3G. “Evidentemente sono l’unico a stupirsi, nel 2000 l’Italia incassò 13,6 miliardi per concedere le frequenze alle varie compagnie. Quest’ultima gara ne porterà poco più di 6. Ho sentito esponenti del governo esultare e non ne capisco le ragioni…”

L’Internet delle cose.

Grazie al 5G si sperimentano i droni che volano sulle nostre teste; le spie nei cassonetti dell’immondizia (segnalano il momento di svuotarli); i sensori sui palazzi all’Aquila che al minimo tremolio chiudono i rubinetti del gas e lanciano l’allarme; le ambulanze smart. Arriveranno le auto senza conducente, i frigoriferi che mostrano quando un alimento è scaduto, gli elettrodomestici che si azioneranno a distanza e i campi di grano che diranno al contadino quando devono essere annaffiati.

Il prezzo da pagare sono onde elettromagnetiche dappertutto, giorno e notte. Perché il 5G viaggia su frequenze altissime, ma che ha una “portata” di viaggio limitata. Richiede mini antenne disposte a distanza ravvicinata, ogni cento metri per poter connettere fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato.

L’invito alla prudenza.

Fiorella Belpoggi intervistata da Massimo Mazzucco, qui, rilancia il suo appello ai governi: “Non si tratta di tornare indietro e respingere in blocco le nuove tecnologie ma di conoscerle per darsi delle regole. Questo è lo sviluppo sostenibile: impostare le decisioni politiche sulla ricerca. Dopo una valutazione attenta si potrebbe decidere cosa dotare di strumenti super efficienti. Se ha senso un ospedale smart, magari non lo hanno un frigorifero o un pannolino da neonato dotato di 5G.
Mi prendo la responsabilità di quello che conosco: quei tumori li ho visti. E tacere oggi è da criminali”.

Come difenderci.

Da un lato vi sono le misure che possono mettere in atto i governi. Livio Giuliani ricorda che “le nostre leggi prevedono il principio di precauzione (legge quadro 36 del 2001) e, in Europa, la Risoluzione ambientale del 2009 ove si osserva con orgoglio che 9 Paesi europei hanno rispettato i limiti di sicurezza stabiliti da noi. Questi testi sono il risultato di anni di battaglie e dimostrano che ha prevalso l’attenzione alla salute. Si tratta di un successo italiano nella protezione ambientale”.

Già, ma il 5G ha ottenuto il via libera con un decreto.

Occorre ricordare ai governi che non siamo al punto zero. E che abbiamo già gli strumenti per tutelarci”.

Per quanto riguarda la protezione individuale ecco alcuni accorgimenti da privilegiare: meglio parlare al telefono con il viva voce tenendolo a 15-20 centimetri di distanza (come riportato nel foglietto illustrativo); l’auricolare con il filo, per un verso riduce l’esposizione, per l’altro funge da antenna. Quello senza filo si comporta come una radio.

Non tenere lo smartphone nella tasca dei pantaloni, si è visto che le onde agiscono sulla motilità degli spermatozoi; non dare ai bambini iPad o telefonini connessi (soprattutto sui mezzi in movimento come treni, autobus o automobili), piuttosto scaricare film e canzoni e spegnere la connessione; abitudine, quest’ultima da adottare durante la notte.

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