Ci sono strade che raccontano un destino. Quella che vedete qui, come un lungo serpentone di cemento, una corsia che va a nord e l’altra a sud, case, casotte, palazzi, rovine, degrado, e un grigio che per dispetto si specchia in un azzurro mare solo per il gusto di profanarlo si chiama Statale 18. Era la strada portava i Borboni da Napoli a Reggio Calabria ora non si sa bene neppure cosa sia. Mauro Minervino, professore, antropologo, viaggiatore, uomo di Calabria, dice che è una mastodontica città longitudinale, dove ormai non ci sono più paesi, ma solo questa mostrificazione, una periferia senza interruzioni, con il Tirreno di fronte che quasi non si sente, non si percepisce, o al massimo compare nella sua forma peggiore, come carnaio vacanziero, come un Gran Tour della tamarraggine. “Qui la gente vive ammassata sulla strada,  un sifone che aspira e prosciuga le esistenze”. Bisogna guardarla con gli occhi di Minervino, viaggiare con lui sulla “Statale18”(Fandango), parlare con i loschi cow boy di questa frontiera, per capire come il Sud e l’Italia hanno ripudiato la bellezza. Ascoltare le voci di chi ci abita e senza moralismi, senza condanne, e immergersi in questo viaggio, cercando di riconoscere l’identità sommerse della città mostro e ricordarsi i nomi: Ercolano, Portici, Torre del Greco, Pompei, Scafati, Angri, Pagani, Nocera, Cava, Vietri, Salerno e poi giù verso Battipaglia, Vallo della Lucania, Eboli, fino alla terra senza Cristo, Scalea, Diamante, Sangineto, Cetraro, Lamezia, Vibo, Mileto, Rosarno, Gioia Tauro, Palmi, Scilla, Reggio Calabria. Qui un tempo vivevano gli dei.

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