Sono le dieci di sera ed è un venerdi di novembre, l’ultimo. Segnatevi questa data: 30 novembre. Sono in redazione a Roma e sto aspettando notizie da Milano. Da un momento all’altro arresteranno il direttore di questo giornale, il mio direttore. So che a molta gente là fuori tutto questo non interessa, magari qualcuno sarà così idiota da concedersi un brindisi, altri diranno “era ora”, quelli più indaffaranti risolveranno tutto con una scrollata di spalle o diranno che arrestare il direttore del Giornale non è reato. A questo punto chi se ne frega di quello che pensate. Tanto questa dove sono assomiglia ogni giorno di più alla fortezza Bastiani, solo che io so che i barbari non arriveranno e non c’è neppure nessuna frontiera da difendere. I barbari in realtà ci sono sempre stati o perlomeno non so a quando risale il loro arrivo. Tutto questo in fondo non importa.

Quello che invece io vedo da qui è un paese dove i giudici etichettano come delinquente abituale un direttore di giornale perché nel suo ruolo subisce una norma assurda come la responsabilità oggettiva, che è un’offesa all’idea che ognuno paga per le sue azioni non per quelle degli altri. Vedo i giudici che condannano un persona al carcere per un sentimento di astio o vendetta. Perché non venite a raccontarmi palle. Sallusti va in carcere perché è Sallusti. Perché non vi piace, perché vi indispettisce, perché lo considerate un nemico della magistratura, perché quello che scrive vi fa venire l’ulcera. Va in carcere Sallusti per un articolo scritto da Farina. E’ che questo tramonto di seconda repubblica aveva bisogno di un colpevole, di qualcuno da punire, di una forca, di un esempio, di tutto quello che voi chiamate giustizia ma puzza di piccola e meschina resa dei conti. Sallusti era la persona giusta per incarnare la figura del colpevole e saziare la vostra sete. Bevete, ma certe scelte avvelenano.

Quello che vedo da qui è un paese dove un’orda di senatori pensa una legge con il solo sentimento di vendicarsi. Senatori della Repubblica che mettono in piazza la stessa razionalità di ultrà allo stadio. Senatori con la bava alla bocca. Non vale la pena neppure di sporcarsi i polpastrelli a scrivere di loro.

Quello che vedo è un paese dove i giornalisti s’indignano per ogni piccola ingiuria agli interessi della loro categoria, gente che parla di libertà di stampa solo quando gli toccano il portafoglio e ora sta zitta, come se questa non fosse “cosa loro”. Sallusti in carcere è un precedente pericoloso. Perché da domani ogni direttore di giornale può finire dietro le sbarre condannato per diffamazione ma con la colpa decisiva di stare sulle palle a un giudice, a un potente, a un apparato di potere o a quello che urla più forte. Non accadrà, ma potrebbe accadere. Non è più impossibile. Ma certe conseguenze si vedono dopo, di solito quando è troppo tardi.

Chissà se i poliziotti arriveranno con le sirene al vento o sottovoce, quasi vergognandosi. Domani molti diranno che la legge è legge. Lo pensa anche Sallusti. La beffa è che quando berrà la cicuta i suoi nemici diranno: è solo un esibizionista. E si gireranno dall’altra parte stizziti. Questo è un paese che da vent’anni è incancrenito, fermo, assopito, praticamente morto, e ora comincia a puzzare di marcio. A Milano si aspetta l’ultima ora di libertà. Lo sputo in faccia contro questo giornale non è sanabile. Le Br lo hanno gambizzato con il piombo, voi con la vostra giustizia, che un giorno chiameranno con il suo vero nome. Vendetta.

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