La pietà, dice chi vive di rabbia e indignazione, è un lusso che non ci possiamo permettere. Chissà se un giorno saranno disposti a pagare un prezzo per tutto questo, perché quando l’uomo prende la strada del disumano la libertà scappa all’estero.

«Uno di meno, si risparmia il processo», «spero sia il primo di una lunghissima serie», «se sei innocente non ti ammazzi». Questi sono i più «delicati», quelli che trovi il coraggio di mettere su carta, molti, molti altri, sputano sulla morte, con il coro degli sciacalli che ride. Sono parole che arrivano sul cadavere di David Rossi, il capo della comunicazione di Monte dei Paschi di Siena, un uomo che si è buttato da un balcone e non si sa ancora bene perché. Non era neppure indagato. Coro: chi se ne frega. La sua colpa era di lavorare in banca e di trovarsi troppo vicino a una tempesta giudiziaria. Tanto basta per cancellare la pietà.

Questi sputi li trovi ovunque, su tutti i social network, nei commenti dei lettori sui giornali online, negli occhi spenti di chi ormai tifa solo per il nichilismo. È la rete, dicono. È come quando vai al bar, si sa che la gente esagera, parla senza riflettere, sfoga il suo rancore. Ecco, se è così in questi bar non hai nessuna voglia di metterci piede. Il guaio però è un altro. È quando a qualcuno viene in mente di rispolverare la vecchia idea di Rousseau sulla democrazia diretta, quella che l’avvocato Robespierre leggeva prima di battezzarsi «l’incorruttibile». Basta mandare in Parlamento gente a pigiare pulsanti. Qui su ogni scelta bisogna fare un referendum, un referendum on line. Solo sulla rete. È la modernità, bellezza. È il futuro. È veloce. È il potere al cittadino, ancora meglio se il cittadino Robespierre. È il governo delle masse, del popolo, come si fa con il Grande Fratello. Questo dicono. Allora la democrazia del bar dove volano insulti e non c’è pietas, dove se stai dalla parte sbagliata dell’opinione pubblica rischi il linciaggio diventa la nuova democrazia. La democrazia senza filtro, come le vecchie sigarette Nazionali del monopolio di Stato sui tabacchi.

Attenzione, però. Queste cose le dice Grillo, ma stanno diventando moneta corrente. La lapidazione pubblica tocca anche la capogruppo cinquestelle che si perde sul fascismo, basta un’interpretazione non in linea su un periodo storico per ritrovarsi con la faccia bagnata di saliva (altrui).

È questo il futuro? Forse allora è il caso di sapere che assomiglia troppo a un certo passato. Fate marcia indietro di un secolo o giù di lì, diciamo centouno anni. È il 1912. La guerra di Libia è appena finita. Le masse stanno entrando nella storia. L’Italia viene da decenni di connubi e trasformismi. La classe dirigente è sempre più miope, corrotta, senza orizzonti. Non c’è ricambio delle élite e sembra di vivere in un pantano. Giolitti è l’emblema di tutto questo. A destra c’è bisogno di identità e la nazione diventa una terra ideale a cui aggrapparsi. Il partito socialista si è imborghesito, quelli più rivoluzionari bestemmiano i riformisti ed è un gigante con tanti voti ma quasi geneticamente incapace di andare al governo, si balla tra ortodossia burocratica e slanci deliranti di movimentismo e azione. Qualcuno comincia a gridare forte che per uscire da questa melma ci vorrebbe una guerra, magari veloce, piccina, giusto per scaricare l’energia repressa. È in questo clima che crescono l’indignazione e la rabbia vorticosa. Le riviste, anche quelle più colte, le raccolgono e le rimettono in circolo. Il più efficace di tutti è il direttore dell’Avanti!, un maestro elementare dalla scrittura audace e coinvolgente con una certa vocazione allo spettacolo. Si chiama Benito Mussolini. Ed è un arrembante leader socialista. Diversi personaggi di quel bar d’inizio Novecento faranno fortuna. Molti giovani sono convinti che qualcuno gli stia rubando il futuro, ne dovranno morire tanti per dare spazio ai sopravvissuti. Pirandello in I vecchi e i giovani ne racconta uno. «Calmo e freddo in apparenza, Lando Laurentano covava in segreto un dispetto amaro e cocente del tempo in cui gli era toccato in sorte di vivere \ La vigna era stata vendemmiata. Aveva dato il suo frutto. E lui era venuto a vendemmia già fatta. Età sterile, per forza, la sua, come tutte quelle che succedono a un tempo di straordinario rigoglio».

Ma se volete conoscere l’eroe di questo passato prossimo andate a scovare un romanzo di Ardengo Soffici: Lemmonio Boreo ovvero l’allegro giustiziere. Lo presenta così: «Era un uomo dall’aspetto fra il sacerdote e il guerriero, col viso corrucciato, e un randello in mano. Andava a gran passi di città in città, di paese in paese, e ogni volta capitava dove si stesse commettendo qualche indegnità, qualche azione poco pulita, accorreva, e giù legnate a tutto spiano, a destra e sinistra». Era il 1913. Poco tempo fa.