Circo Massimo, sabato sera, grande festa a cinque stelle, Edoardo Bennato ha la faccia stanca e gli occhi invecchiati, accanto a lui c’è Beppe Grillo e tu pensi che i due saranno pure amici, ma qualcosa non torna.

Ricordate quella canzone un po’ remake del 2013? Al diavolo il grillo parlante . Il testo: «Al diavolo il predicatore/che predica la sua morale/che predica perché vuol bene al pubblico pagante/Al diavolo il grillo parlante/che parla a tutta la gente/che parla e vende parole/che solo Pinocchio non sente». Sembrava scritta su Grillo, contro Grillo. Coincidenze. Ma i grillini si incacchiarono e lo lapidarono su tutti i social network : «Sei un artista finito», «Un maiale non può cantare». La morale, un anno fa, era: non nominare il nome di Grillo invano. Non nominarlo neanche in una recital su Pinocchio. Non nominarlo neppure se quella tra Bennato e il Grillo Parlante è una storia cominciata quasi 30 anni fa. «Tu grillo parlante/che parli alla gente/ma chi t’ha invitato/ma chi t’ha pregato/sei un profeta di varietà». Profetico? No, quella era un’altra stagione. Era il ’77 e i profeti erano molto più armati. Solo che vederli insieme è uno iato. Bennato non amava quelli che dividono il mondo in due: «Arrivano i buoni/e hanno le idee chiare/Hanno già fatto un elenco/di tutti i cattivi/da eliminare».

Forse è quello che accade alle favole dopo la parola fine, quando le luci si spengono e i bambini vanno a dormire. Il Grillo Parlante ha la voce rauca e continua con i suoi sermoni, solo che assomiglia sempre più a Mangiafuoco e sputa al Circo Massimo una litania di «vaffa». Tutta colpa delle martellate. Pinocchio è un burattino, ma con i fili. Peter Pan si è imbarcato con la ciurma di Capitan Uncino e non crede più all’isola che non c’è. «Seconda stella a destra questo è il cammino…». È che adesso le stelle sono cinque e chi non si adegua finisce in fondo al mare.

Nessuna predica per Edoardo Bennato, ognuno va a cantare dove cavolo vuole e se lo pagano è meglio. È solo nostalgia. È il ricordo di una canzone ascoltata nell’estate del 1980: «E nei sogni di bambino/la chitarra era una spada/e chi non ci credeva era un pirata». È quel tarlo che ti torna quando pensi che vuoi restare anarchico, senza partiti e pifferai magici, senza qualcuno che ti ordina la sua verità. Sono solo canzonette, certo, e uno a una certa età dovrebbe smettere di crederci, però era bello ascoltare la voce di Bennato, con l’armonica da vagabondo, cantare: «Gli impresari di partito/mi hanno fatto un altro invito/e hanno detto che finisce male/se non vado pure io/al raduno generale/della grande festa nazionale». E va bene che ogni favola è un gioco, però un po’ fa male vedere lassù il rock di Peter Pan che duetta con quello strano ircocervo con la barba bianca, mezzo Grillo Parlante e mezzo Capitan Uncino. Perché quella di Beppe è comunque una festa di partito e se anche Spugna ora ha la faccia di Casaleggio («Dopo il liceo che potevo far…») su quel ponte Bennato sembra una figura stonata. Nessuna colpa. È la libertà di cambiare idea. E di esserci lì, sul fronte del palco, tanto panta rei. Di esserci in modo consapevole. «Beppe Grillo è alla guida di una nave pirata. Solo che adesso deve dirci dove è diretto». Beppe come Hook. Beppe come Capitan Uncino, che poi è l’altra faccia di Peter Pan, quella che invecchia. È quella sopravvissuta a se stessa, quella che pensava di poter rimanere bambino in eterno, ma non si è accorta delle rughe. E ha perso i sogni, la fantasia, si affanna a volare ma non ci riesce, è carica di astio e di desideri non realizzati, cinica, disillusa, ossessionata dallo scorrere del tempo. Quella maschera che odia Peter perché in Peter rivede se stesso, ciò che voleva essere e non è stato. Capitan Uncino è uno dei tanti Peter Pan che non ha saputo convivere con le proprie illusioni. «Sono o non sono il Capitan Uncino/e allora avanti col coro/Cantate tutti con me/e ripetete con me/gli slogan che vi ho insegnato».

Non è colpa di Bennato e neppure di Grillo. Sabato sera, però, il Circo Massimo assomigliava a una nave fantasma, vuota e irreale, o all’ennesimo teatro di Mangiafuoco. «È stata tua la scelta allora adesso che vuoi/Sei diventato proprio come uno di noi/A tutti gli agguati del gatto e la volpe/l’avevi scampata sempre/però adesso rischi di più…».

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