Forse da qualche parte c’è davvero una specie di club di quelli che non  smetterebbero mai di leggere i libri di Carlo M. Cipolla. Niente di  ufficiale. Non ci sono tessere né medaglie e chi ne fa parte probabilmente neppure si conosce. È solo gente che ama la storia ad altezza d’uomo, che  cammina tra i miasmi e gli umori del passato, scansando burocrati e  banchieri o si avventura tra i bubboni della peste, sopravvivendo alle  teorie più o meno coerenti di medici e speziali. Questo storico particolare, che se ne andava in giro con una certa eleganza d’altri tempi e frequentava  osterie dimenticate nella campagne pavesi, come sapete è morto nel 2000,  quasi che non avesse voglia di ingaglioffarsi con un nuovo secolo. Aveva 78 anni. Cosa aveva di particolare Cipolla? Alcuni suoi lettori ti parlerebbero della leggerezza o dell’arguzia, o di quel tono disincantato che non si lascia  truffare dalle ideologie. Altri restano stupiti dalla narrazione, dai quei  nomi e personaggi scovati negli archivi che prendono vita e dal basso, dalla  strada, dal fango, da pezzi di carte scovati con la fortuna e la perizia dei  cartografi, cominciano a raccontarti storie, storie piccole che diventano  voci e indizi di uno scenario più grande, come se Cipolla fosse allo stesso  tempo investigatore, scienziato e cantastorie. Molti ne apprezzano il rigore scientifico fatto di numeri e statistiche, di comparazioni e confronti. Ma quello che ti affascina è trovare tutto questo insieme, quando ti parla di  navi e cannoni o ti spiega le tribolazioni burocratiche e seicentesche delle  navi inglesi nel porto di Livorno, approdo del commercio Mediterraneo.
«Quando una nave arrivava – scrive in Il burocrate e il marinaio – doveva  accogliere a bordo le guardie della sanità, che avevano il compito di  scoprire eventuali irregolarità nel carico o tra l’equipaggio (…). Le  guardie restavano a bordo della nave per tutto il periodo dell’anti purga e  della quarantena rigorosa, terminato il qual periodo dovevano passare un  ulteriore periodo di quarantena al lazzaretto. Tutto questo era a spese  degli inglesi che, oltre a pagare le guardie per “il loro incomodo”, dovevano provvedere loro il vitto». È chiaro che gli inglesi bestemmiavano, ingaggiando un braccio di ferro secolare con il governo toscano. Cipolla che qualche volta fa arrabbiare i suoi colleghi accademici, come  accade quando cerca di capire come è stato sconfitto l’analfabetismo nel  mondo occidentale. La conclusione è che gli elementi culturali decisivi sono il protestantesimo e il capitalismo. Magari come conseguenza non intenzionale. Non perché le classi dirigenti avessero tutta questa voglia di  far studiare artigiani, contadini o operai. C’era anche chi infatti si  lamentava che non servivano tanti dottori e legulei, casta improduttiva del  sistema burocratico. La Spagna del XVII secolo abbondavano di uomini di  lettere ma mancavano gli artigiani. In Francia troppi volevano il brevetto  di latinisti per i loro figli, tanto che Colbert nel 1667 si lamentava che troppe scuole di latino sfornavano un numero eccessivo di avvocatucoli, di giudici e di pretastri. Ma Cipolla fa notare che «l’istruzione non escludeva  a priori l’attività manuale, soprattutto nel settore manifatturiero. Per  talune attività, anzi, era un prerequisito essenziale e certamente gli  artigiani istruiti erano in genere più produttivi e più ingegnosi». Non è detto che il sapere debba finire per forza in burocrazia. Il Mulino, casa editrice fortunata di Cipolla, ha ripubblicato tutta la sua opera. È come trovarsi di fronte a una grande saga di storia  economica e sociale, quasi che Miasmi e umori, Istruzione e sviluppo, Il  burocrate e il marinaio, Tre Storie extra vaganti o Le avventure della lira  fossero una grande saga, con tutti i crismi della ricerca storica, ma  la passione dei Pilastri della terra di un Ken Follett. Su tutti questi poi  brilla quel gioco colto e arguto che è Allegro, ma non troppo, un caso  perfetto di serendipity editoriale. È il 1973 e Cipolla chiede alla casa editrice bolognese un favore: stampare  un breve testo in inglese che vuole regalare agli amici per Natale. Il  Mulino tira un centinaio di copie numerate. Il risultato sono due parodie in  forma di saggio, uno scherzo da intellettuale. Il primo è Pepper, Wine (and  food), su come il commercio delle spezie, in particolare del pepe, dopo la  scoperta del suo potere afrodisiaco, sia il vero motore dello sviluppo  economico del Medio Evo. È una teoria burlona, ma coerente, di un certo modo  di fare storia economica. L’altro è un capolavoro assoluto: The Basic Laws of Human Stupidity. Il famoso teorema della stupidità, con le sue leggi  fondamentali. «Una persona è stupida se causa un danno a un’altra persona o  a un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura  subendo un danno». Con due corollari fondamentali: «Le persone non stupide  sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide» e «La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista». Non manca il grafico con gli ideali tipi che si formano facendo incrociare  danni e vantaggi. Cipolla individua quattro gruppi di persone. Intelligenti:  fanno il proprio vantaggio e quello degli altri. Sprovveduti: danneggiano se  stessi e avvantaggiano gli altri. Banditi: danneggiano gli altri per trarne  vantaggio. Stupidi: danneggiano gli altri e se stessi. È una provocazione,  un gioco, dove il buon senso si veste della corretta forma scientifica. Il  bello è che Allegro, ma non troppo fu un successo editoriale in Italia e  all’estero, ma al di là di quel centinaio di copie natalizie i due saggi non  erano mai stati pubblicati sul mercato anglosassone. Lo ha fatto nel 2011 Il  Mulino con il saggio sulla stupidità e adesso con Pepper, entrambi anche in  ebook. Resta un’ultima cosa. Per cosa sta la M. di Carlo M. Cipolla? Lo ha svelato Armando Massarenti sul Sole 24 Ore. Non sta per Maria come tutti  credono e neppure per Mario. «Non state a scervellarvi. Semplicemente non  sta per niente». Sta solo per se stessa, quella M che Cipolla si inventò per  riempire la casella middle name compilando i moduli da docente  dell’università di Berkeley dove si trasferì negli anni ’50. La firma di uno  storico autorevole e stimato che sapeva ridere sottovoce.

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