Ancora lui, sempre lui, come una maledizione, come una carta sporca e folle che torna dal passato, l’ombra che spaventa il senato e la res publica, con il suo bagaglio di fascino, ambiguità, violenza, frustrazione, rancore, con una passione che ti porta fino ai confini del nichilismo, l’uomo che viene dalla restaurazione aristocratica ma seduce le masse e rompe ogni schema, scavallando da questa e da quella parte, l’individuo antisistema che dice al potere: le vostre leggi hanno fatto di me un rinnegato, ma torno sulla scena per il gran ballo del colpo di Stato. «Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?».
Lucio Sergio Catilina incarna uno dei demoni eterni della storia, una maschera, un paradigma e per questo non riuscirete mai a scacciarlo. È sempre contemporaneo, perlomeno fino a quando non sarà possibile ignorare le sue ragioni. Torna. Torna questa volta con la narrazione di Andrea Frediani, con il suo nuovo romanzo, pubblicato da Newton Compton: Il cospiratore. La congiura (pagg. 506, euro 12).
Crisi e morte della repubblica: così parleranno un giorno gli storici. È il secolo breve dell’antica Roma: conflitti ideologici, guerre civili, il Senato contro i grandi uomini, la tradizione che cerca di resistere alla modernità, il partito degli optimates contro quello dei populares, l’epoca dei generali e degli oratori, le riforme agrarie, l’assassinio dei Gracchi, la scomparsa di Scipione l’Emiliano, il terrore di Mario e Cinna, la restaurazione di Silla, e liste di proscrizione, la ribellione di Sertorio in Spagna, l’astro di Pompeo, Marco Livio Druso vuole estendere la cittadinanza agli amici dell’Urbe (viene ucciso), la guerra dei socii italici contro Roma, la stella di Cesare, i denari di Crasso, la rivolta di Spartaco, Cicerone contro Catilina, il triumvirato, la gioventù dorata e l’amore libertino, Catullo e Clodia («mia Lesbia»), le squadracce di Clodio contro quelle di Milone, Cesare alla conquista della Gallia, il Rubicone, Farsalo, il suicidio di Catone, la testa di Pompeo portata da meschini ministri egiziani in una cesta, le lacrime di Cesare, Cleopatra, il consolato a vita, la corona di re rifiutata tre volte, le idi di marzo, Bruto il tirannicida, Filippi, Antonio, Ottaviano e Lepido, ancora il triumvirato, l’ultima guerra civile, la pace di Augusto, fine della repubblica, inizio dell’impero. Tutto qui, dal 133 al 27 avanti Cristo.
Sono gli anni in cui una repubblica guidata da poche famiglie, che digerisce a fatica le ambizioni di pochi uomini nuovi e che non perdona chi tenta di andare oltre l’equilibrio raccomandato dai padri, si confronta con un mondo che all’improvviso è diventato troppo grande, troppo esteso, troppo veloce. È un secolo in cui la politica diventa scontro fratricida. Scorrerà il sangue, le teste dei nemici verranno issate sui rostri del foro.
È in questo quadro che si entra per raccontare l’avventura di Catilina. Pensate a un giovanotto, non ancora ventenne, con lo sguardo magnetico di chi si sente nato per riscattare le disgrazie di una famiglia nobile, la gens Sergia. Sono patrizi romani da generazioni, ma senza più denari e potere. Pensate alla voglia che ha di riprendersi tutto. Il punto di partenza di Catilina non è lontano da quello di Giulio Cesare. Tutti e due nascono con un nobile passato alle spalle. Solo che Catilina, di otto anni più vecchio, non è Cesare. Non ne ha il genio, la grandezza e neppure la fortuna. Il paradosso è che all’inizio il destino lo favorisce. Catilina sta con il vincitore della guerra civile. È, come Pompeo, come Crasso, tra i favoriti di Silla. Si arricchisce con le liste di proscrizione del dittatore aristocratico. Tu porti la testa del nemico di Roma e Silla ti riempie d’oro. Cesare invece sta con Mario. È il nipote di Mario, che ha sposato Giulia, nipote acquisito ma pur sempre nipote. È uno sconfitto e sopravvive per un gesto di pietà di cui Silla conosceva le conseguenze: «In questo ragazzo ci sono cento Marii». Allora perché Cesare diventerà il dio di Roma e Catilina il nemico della repubblica? Se lo chiedete a Cicerone vi dirà che è tutto merito suo. Solo in parte è vero. Catilina ha il torto di precedere Cesare senza averne la forza ed è un uomo accecato dalla frustrazione. È in questa parola il suo destino e Frediani lo tratteggia da maestro.
Il sogno di Catilina è arrivare al consolato. La sua sciagura è che non ne ha la dignitas. È un uomo corrotto dall’arroganza e dal vizio. È ossessionato dagli uomini nuovi che intrallazzano a Roma e da un’aristocrazia mediocre che non fa più onore al nome di famiglia. Catilina in questa repubblica in crisi di identità è un senza partito. È la vergogna degli optimates e fa orrore ai populares. Non è di destra né di sinistra. È per questo che sceglie, scommette, sulla plebe. Non sa che il popolo dei nullatenenti, la massa della suburra, magari lo applaude, ma non lo salverà. Eppure ogni sua mossa politica parla al ventre dei populisti, il populismo dannatamente umano di chi sopravvive a stento e quello più cinico delle classi superiori ricattate dagli usurai. Sono gli unici alleati. Ai secondi prometterà la remissione di tutti i debiti. Ai primi il reddito di cittadinanza. Catilina ci prova, a seguire il cursus honorum di un patrizio romano: questore nel 78, legato in Macedonia nel 74, edile nel 70, pretore nel 68 e governatore dell’Africa nel 67.
Il 66 dovrebbe essere l’anno per arrivare al consolato. Lo aspetta la giustizia, finisce sotto processo per un’accusa da cui verrà assolto. Il giudice è Cesare, ma per la sentenza ci vorranno quattro anni. Quattro anni in cui non si può candidare, quattro anni di attesa. Ci riprova, ma <optimates e populares si alleano per sconfiggerlo. Vincono Ibrida e un personaggio che da quando erano ragazzi Catilina sopporta a fatica. Si chiama Marco Tullio Cicerone, l’uomo della nemesi. Cicerone, da console, fa in modo di spostare a sorpresa le elezioni dell’anno dopo, in pratica con questa mossa non permette ai «provinciali», favorevoli a Catilina, di arrivare a Roma per votare. È questo broglio che porta alla congiura, quella su cui Cicerone costruirà la sua gloria.
Come può un uomo di grandi ambizioni, immenso oratore, ma senza fama da generale, conquistare la gloria? Salvando la patria dal suo peggiore nemico. E così fu. Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?

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