Questa piazza è il purgatorio dei sogni. L’ultima volta che ci sei stato era troppo tempo fa. Estate 1990. Avevi 23 anni.e hai pensato che forse sarebbe stato bello non poter andare più via da lì, perché la piazza dell’orologio, nella città vecchia di Praga, è una prigione incantata. Ti ruba, ti spoglia, ti cosparge di malinconia, come se una strana tristezza senza dolore ti piovesse addosso. Qui perdi il passo della realtà, non c’è più confine tra l’essere e non essere, la gente che ti passa accanto potrebbe mostrare una fretta solo apparente, perché il tempo battuto dall’orologio astronomico lassù sulla torre attraversa tutte le dimensioni dell’universo. E’ il tuo e allo stesso tempo di altri infiniti mondi. Quello che vedi è solo apparenza e i vivi sono ancora più invisibili dei morti. Dicono che J.K. Rowling si sia ispirata all’antica torre del 1490 per Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. E’ un metamondo da cui non si fugge. Qui nel 1580 il rabbino Jehuda Lőw ben Bezalel, che tutti chiamano Rabbi Lőw, chiede al Dio della Kabbalah come combattere tanta malvagità contro gli Ebrei? E la risposta arriva in sogno. Ata Bra Golem Dewuk Hachomer W’tigzar Zedim Chewel Torfe Jisrael. (“Crea un Golem di argilla e annienta la malvagia canaglia divoratrice di Ebrei”). Qui il vecchio Faust stringe il patto con il diavolo. “Amo colui che sogna l’impossibile”. Qui nel 1584 giunse John Dee, preceduto da una fama straordinaria di mago, alchimista e negromante. Qui fece coppia d’affari con il rozzo Edward Kelley, il cui vero nome pare fosse Talbot, con le sue orecchie mozzate, segno di infamia per chi spacciava monete false. I due si dedicarono anima e corpo ai colloqui con il mondo dei trapassati e degli spiriti, conversando in “Enochiana”, maledetto e ciarlatano alfabeto angelico. Qui, dopo le cinque del mattino, funamboli, alchimisti, golem, wariaci (pazzi), marionette, guitti, poeti, ubriaconi, cudàk (bislacchi) passano sotto la tua finestra e non la smettono fino a notte fonda di raccontare storie. Questa è la piazza dove Est e Ovest si incontrano e come particelle di materia e antimateria non possono che dissolversi. E’ l’inizio del tutto e del nulla.
Questa è la Praga magica di Angelo Maria Ripellino, flâneur siciliano che in queste strade ha visto solo ciò che i comuni mortali non sanno vedere. “Quanti grugni porcini, impacciandosi nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi? Anch’io ho la certezza di avervi abitato in altre epoche… da secoli cammino per la città, mi mescolo alle moltitudine, arranco, gironzolo, annuso tanfo di birra, di fumo, di treni, di melma fluviale.”. Come puoi non perderti in questa folla che arriva da tutti i porti del tempo?
Il Muro, quando sei arrivato lì, era caduto da meno di un anno. La storia doveva fermarsi, arretrare, cadere. Ed è lì che hai lasciato la tua eterna giovinezza, i tuoi sogni, le tue illusioni. Da lì, da quella piazza, probabilmente non sei mai tornato. Quello che adesso indossa il tuo nome è solo uno spok, un fantasma, come l’ombra tremolante alla luce di una lanterna. La piazza della città vecchia è il teatro delle tue storie, il tuo destino oltre lo specchio, lo squarcio di palcoscenico dove rannicchiarsi ad ascoltare tutto quello che una vita intera non può contenere. Praga è il luogo dove non si invecchia mai.
Come la Praga Magica di Ripellino. “Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed io forse vi ritornerò. Certo che vi ritornerò. In una bettola di Mala Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Mělník. Andrò a Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porterò i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza”.

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