Un omicidio di ‘ndrangheta fa rumore. Non tanto perché la vittima è un pezzo grosso (Fiore Gentile, 54 anni, condannato a 22 anni per l’omicidio del boss Pasquale Nicoscia a Isola Capo Rizzuto nel 2002 e recentemente assolto) quanto perché – visti i precedenti – quando le cosche parlano con il piombo il timore che si riaccenda una faida è molto alto. Se Gentile è l’ennesima vittima della guerra di mafia tra i clan Arena e Nicoscia è presto per dirlo, ma è plausibile visto il suo pedigree criminale. Con il fratello Franco, altro elemento di spicco della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto Fiore Gentile era stato pure condannato nel processo Ghibli a 10 anni per associazione mafiosa, poi assolto in appello, sentenza annullata qualche settimana fa dalla Cassazione.

Alla ‘ndrangheta non piace ammazzare. Il sangue attira gli sbirri e i giornalisti, fa rumore, riaccende i riflettori sulle cosche che invece prosperano grazie alla cappa di silenzio e di omertà che attanaglia la Calabria. Lo sa bene il supersbirro Renato Cortese, che è di quelle parti, appena promosso da dirigente della Mobile di Roma a capo del Servizio centrale operativo dopo molti anni in trincea in Calabria. A sostituirlo alla Mobile a Roma sarà un’altra vecchia conoscenza tra gli inquirenti anti ‘ndrangheta, Luigi Silipo, anch’egli cresciuto alla Questura di Reggio Calabria.

D’altronde lo ha detto chiaramente anche il capo della Procura reggina Federico Cafiero de Raho: «La strategia della ‘ndrangheta è quella della sommersione, perché questa è l’unica strategia che può portare avanti. È come un sommergibile, che naviga in profondità cercando di evitare i sonar della magistratura e delle forze dell’ordine».

Anche la Chiesa, come ho già scritto qui e qui, è alle prese con la sua personale guerra alle cosche. A Vibo Valentia, ad esempio, il vescovo della diocesi di Mileto-Tropea-Nicotera Luigi Renzo, ha deciso di ripristinare la storica processione dell’Affruntata – la cerimonia religiosa pasquale che simula la trasmissione del messaggio della resurrezione di Gesù Cristo tra la Madonna e San Giovanni – dopo lo stop imposto dall’autorità ecclesiastica legato alle alle inchieste che hanno svelato le ingerenze della ’ndrangheta nelle manifestazioni religiose. Secondo i pm le famiglie di ‘ndrangheta avrebbero sfruttato le processioni religiose per stabilire il proprio dominio sul territorio. Ne era nata una polemica a distanza tra Procura nazionale antimafia e vertici della curia calabrese. Il vescovo Renzo ha invitato apertamente i calabresi della sua diocesi a non farsi «espropriare ciò che appartiene al loro patrimonio religioso più genuino, lasciandolo in mano a gente senza scrupolo, che non ha nulla di cristiano ed anzi persegue una “religione capovolta”, offensiva del vero Cristianesimo popolare». E ai membri delle Confraternite che curano tradizionalmente l’Affruntata, il vescovo ha chiesto ufficialmente di rinunciare «a certi pretesi privilegi» per mostrarsi «più collaborativi con i parroci nell’eseguire scrupolosamente tutte le direttive diocesane in materia».

Basta inchini: niente soste pilotate davanti alle case dei boss «tranne che si tratti di ospedali, case di cura o ammalati»- La rivoluzione voluta dalla diocesi vibonese riguarda soprattutto la scelta dei portatori delle statue, compito affidato in passato ai rampolli delle famiglie mafiose come una sorta di consacrazione del loro ruolo sociale sul territorio. Stavolta la scelta avverrà per estrazione, domenica delle Palme da un elenco di persone che ne hanno fatto richiesta. Basta dunque alla compravendita sotterranea dei posti, come avveniva in passato. A vigilare sulla scelta dei portatori saranno i parroci, e in ogni caso secondo le nuove regole «non sono ammessi a questo compito persone aderenti ad associazioni condannate dalla Chiesa, che siano sotto processo in corso per associazione mafiosa o che siano incorse in condanna per mafia, senza prima aver dato segni pubblici di pentimento e di ravvedimento».

Basterà a tenere lontano la ‘ndrangheta dalle processioni? E se non bastasse, come farà la ‘ndrangheta a farlo capire? In Calabria c’è puzza di piombo…

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