«Riprendersi il territorio» è un’espressione che ho sempre trovato infelice (un po’ come la parola «concreto»). Provo a nobilitarla ragionando su un po’ di notizie. Il 22 luglio, come ogni anno, i soliti noti dell’antimafia calabrese proveranno a riprendersi l’Aspromonte – impresa ardua – con la marcia di Libera in memoria di Lollo Cartisano, il fotografo di Bovalino sequestrato il 22 luglio 1993 di cui non si è mai trovato il corpo. Con i familiari delle vittime innocenti della ’ndrangheta ci saranno don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Rhao e monsignor Francesco Oliva, vescovo della diocesi di Locri-Gerace.

Riprendersi il territorio è quello che cercherà di fare lo Stato a Ricadi, in provincia di Vibo Valentia, il cui Comune è stato commissariato nel 2011 per infiltrazioni mafiose, come ha confermato il Tar del Lazio bocciando il ricorso dell’ex sindaco Pino Giuliano e di Michele Mirabello, consigliere regionale Pd e segretario provinciale del partito. Per il Viminale i rapporti fra la ’ndrangheta e gli ormai ex amministratori comunali sono provati, a partire dal complesso turistico realizzato da una ditta considerata vicina ai clan e che dava lavoro a qualche ’ndranghetista (tra cui un ex killer pentito) alla manutenzione della rete idrica, in mano a un’altra ditta in odore di mafia, circostanze confermate anche dalla sentenza del processo in abbreviato «Black money» contro il potentissimo clan dei Mancuso di Limbadi (clan collegato all’inchiesta su Mafia Capitale) emessa dal gup distrettuale di Catanzaro il 29 luglio 2014, le cui motivazioni sono state depositate il 23 gennaio di quest’anno.

Per non parlare delle abitazioni abusive dei malavitosi mai demolite o di pezzi di demanio marittimo occupato abusivamente da alcuni parenti degli ex amministratori del piccolo Comune turistico calabrese. Alla luce della decisione del Tar forse il Pd dovrebbe porsi qualche domanda: può un amministratore tacciato di aver favorito le cosche fare il segretario provinciale e siedere tra i banchi della Regione? È questa la legalità di cui il Pd si ammanta?

I lavori pubblici sono la golosissima torta su cui le cosche vogliono mettere le mani, lo sanno tutti. Penso alla Salerno-Reggio Calabria, ancora spezzata in due dallo scorso marzo dopo il crollo di un viadotto che ha causato la morte di un operaio. L’inchiesta della magistratura, che ha sequestrato il tratto autostradale, è pronta a essere chiusa. La speranza – stando a quanto dice il ministro Pd dei Trasporti Graziano Delrio – è che entro fine luglio «grazie al lavoro congiunto di Procura e Anas» il tratto possa riaprire. Anche questo è un pezzo di Calabria che lo Stato riconsegna ai cittadini.

Ma anche al Nord c’è bisogno di riprendersi il territorio. A Trezzano sul Naviglio, nel Milanese, il sindaco Pd Fabio Bottero ha sentito l’esigenza di mettere dei cartelli per rivendicare la presenza delle istituzioni. Alcuni cartelli con su Comune vietato alla ’ndragheta e Qui le cosche mafiose non sono benvenute scritte in azzurre su fondo bianco sono stati posizionati negli incroci più importanti della cittadina alle porte di Milano, considerata per anni una delle città lombarde con la più alta e radicata presenza di cosche calabresi sul territorio, con un’amministrazione oggetto di lettere minatorie, attentati, scritte sui muri: «Trezzano vuole liberarsi dalle cosche – ha detto il sindaco presentando l’iniziativa dell’Anci 100 comuni contro le mafie – il tessuto sociale è sano, ma non si riesce a rimuovere il problema».

Qualche tempo fa Bottero si era sfogato in un’intervista a Klaus Davi contro il governo di sinistra cui fa parte anche lui: «Siamo in guerra come fossimo a Beirut, noi sindaci siamo lasciati soli, abbandonati dal governo in questa lotta contro lo strapotere delle cosche calabresi». La cosa divertente è che i cartelli sono stati collocati in via sperimentale. Senza la deroga del ministro Delrio rispetto all’attuale normativa sulla segnaletica stradale, quei cartelli potrebbero essere rimossi.

Questo è il Pd: lascia guidare il partito a un amministratore sfiorato da accuse di ‘ndrangheta e lascia solo un sindaco che prova a fare la guerra alle cosche. Per giunta, con dei cartelli stradali «fuorilegge».

PS La commissione Antimafia ha deciso di dire la sua sul Comune di Roma e sui legami con Mafia Capitale. Quelli del Pd, che hanno paura dello scioglimento del Comune per mafia, su cui dovrà decidere il Viminale a giorni, considerano la decisione della Bindi «irrituale». È l’ennesima prova della schizofrenia democratica in materia di antimafia.

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