Il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Edoardo Montolli è un cronista vecchio stile, di quelli che verificano minuziosamente ogni prova prima di scrivere una riga. Di giornalisti così ahinoi non ce ne sono più molti in giro.

Montolli, con cui ho scritto Il grande abbaglio – Controinchiesta sulla strage di Erba, da molti anni si occupa di mafia e della maledetta stagione delle stragi tra il 1992 e il 1993. Fare luce su fatti vecchi di oltre vent’ anni non è semplice. Ma quando si tratta di ricostruire un puzzle complicato ci vuole solo molta pazienza.

Sull’ultimo numero di Crimen in edicola in questi giorni Montolli ricostruisce il mistero del viaggio negli Usa di Giovanni Falcone, alla fine di aprile del 1992. Una missione segreta, su cui per anni si sono addensati gialli e misteri, ma che secondo le prove raccolte da Montolli in questi anni c’è stato senza ombra di dubbio.

Dopo quel viaggio, di cui parlò subito l’ex giudice Carlo Palermo, Falcone avrebbe portato elementi decisivi per risolvere il delitto di Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo. Falcone aveva parlato con Buscetta. «Che cosa si siano detti non sappiamo – disse Palermo – e forse non lo sapremo mai». Il 28 ottobre del 1992 su Avvenimenti Riccardo Orioles parla di un presunto verbale Fbi del 4 aprile ’92. Un Procuratore americano (Charles Rose), che poi fecero passare per pazzo, per alcolizzato, di cui non si è più sentito parlare, confermò di averlo incontrato. Eppure persino il direttore dell’Fbi William Sessions aveva smentito la circostanza: «Il giudice Falcone ha incontrato Tommaso Buscetta più volte, ma non nel periodo tra il 1° gennaio e l’aprile 1992».

Qualche giorno dopo fu la giornalista Liana Milella sul Sole24Ore a scrivere un articolo sulla scomparsa dei «diari elettronici» del giudice, contenuti verosimilmente in una memoria esterna delle sue agende: nessuno li ritroverà mai. Fu Gioacchino Genchi ad analizzare le due agende elettroniche di Falcone: un data bank Casio e uno di marca Sharp. C’era traccia lì di quel viaggio? Sì. In una di queste agende il giudice aveva annotato un viaggio negli Usa, dal 28 aprile al 1° maggio, con tanto di festa all’ambasciata inglese, alle 19.30 del 29 aprile.

L’appunto fu scovato da Genchi nell’agenda Casio, dopo aver recuperato i file che, per ragioni tuttora oscure, erano stati cancellati. Per aver voluto indagare sul viaggio misterioso negliUsa Genchi litigò con Ilda Boccassini, tanto da dover abbandonare le indagini: «L’atteggiamento del dottor Genchi rispetto soprattutto alla figura del giudice Falcone era, secondo me, non istituzionale e quindi, siccome non ritenevo che Giovanni Falcone dovesse essere oggetto lui di indagini, non… una ricerca ossessiva dei suoi tabulati, le carte di credito, i viaggi effettuati – dirà la Boccassini – dissi a Tinebra (Giovanni Tinebra, all’epoca il procuratore di Caltanissetta subentrato a Celesti) che, considerato che avevamo sia la Dia, sia il gruppo Falcone-Borsellino, con dei ragazzi che erano diventati esperti nell’analisi dei tabulati e tutto quello che era il supporto informatico, che avrei avuto difficoltà a continuare una collaborazione con la Polizia di Stato se fosse rimasto Genchi».

In una lettera di disappunto e sorpresa datata 25 maggio 1993, invece la stessa Boccassini e il collega Cardella chiedevano al capo della Procura come mai Genchi che «appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza a svolgere un ruolo di collaboratore, diciamo, nelle indagini per il processo di via D’Amelio, abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini», sintetizzerà al “Borsellino quater” il procuratore Sergio Lari.

Oggi si scopre che in quelle agende c’è anche il nome di un personaggio che, contattato da Montolli, non ha voluto chiarire i contorni della vicenda.

Scrive Montolli: «C’è una persona che potrebbe dipanarli definitivamente. È la persona con la quale era segnata la cena di Falcone il 29 aprile, una persona con cui il giudice aveva cenato in altre occasioni: e se andò lì, non stava certamente negli Usa. Ma se non ci andò, è proprio forse la sola persona che può confermarne il viaggio a Washington. È una persona che non appare nelle sentenze, tantomeno negli archivi delle agenzie. Non si trova nulla neppure sugli archivi online dei quotidiani. L’hanno mai sentita? Il suo nome e il suo telefono sono agli atti da 23 anni, nero su bianco sulla Sharp del giudice. Il numero è attivo. La casa è giusta. La voce cortese.
– Chi parla?
– Buongiorno, sono un giornalista. Mi chiamo Edoardo Montolli. Mi chiedevo se fosse possibile farle due domande su Giovanni Falco…
Click».

Forse sarebbe ora che la magistratura che indaga su quel maledetto biennio faccia definitivamente luce sulla vicenda. E che qualche magistrato faccia mea culpa per non aver voluto indagare a fondo.

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