Da Don Camillo a Don Francesco. Dopo Rende anche Brescello affonda per le inflitrazioni della ‘ndrangheta. Ma qui non siamo in Calabria, siamo nell’AEmilia rossa ritratta a tinte fosche nell’omonima inchiesta che, nel silenzio quasi generale, ha messo alla sbarra il sistema di potere che ruota intorno alle gunte rosse e alle coop.

La decisione del Consiglio dei ministri che ha azzerato il Comune di Don Camillo e Peppone è un campanello d’allarme per il Pd, il governo e soprattutto per il ministro dei Trasporti ed ex sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio per i suoi rapporti – ancora tutti da dimostrare, ovviamente – con la ‘ndrangheta calabrese guidata da Francesco Grande Aracri, boss originario di Cutro (comune gemellato con Reggio Emilia) dove Delrio si recò in almeno due circostanze. Ci sarebbe un dossier fotografico che lo ritrarrebbe con alcuni boss, probabilmente a sua insaputa, in uno di questi viaggi in Calabria, come rivelano le intercettazioni al vetriolo arrivate dalla procura di Potenza che indaga sui rapporti tra Palazzo Chigi e le lobbies del petrolio.

Ma a pesare sono soprattutto i troppi «non so, non ricordo» sulla ‘ndrangheta detti da Delrio ai pm antimafia dell’inchiesta AEmilia, indegni per un uomo di Stato. Per non parlare dei rapporti tra la moglie del suo ex braccio destro – oggi sindaco reggiano – e le famiglie ‘ndranghetistiche finite persino in un rapporto degli 007.

I capataz locali provano a cavarsela con qualche frase di circostanza: «La lotta contro le mafie e per la legalità, che questa Regione sta portando avanti con forza e convinzione non deve guardare in faccia a nessuno», dice l’assessore regionale alla Legalità Massimo Mezzetti. «Però parliamo della località dove il sindaco del Pd Coffrini (non indagato) definiva il boss Grande Aracri “una brava persona”», replicano i Cinque Stelle. L’Antimafia della Bindi si svegli. O si autosciolga.

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