Paolo Borsellino è morto 25 volte. Una voltà è stato ucciso dalla mafia, le altre dallo Stato che ad oggi non è riuscito a dare un volto ai suoi veri assassini. Non mi riferisco a chi ha premuto il telecomando (e già sarebbe tanta roba), ma ai mandanti. Quelli veri. L’ultima verità propalata ai media è che il nemico di Paolo è uno di loro, un magistrato. In effetti Paolo Borsellino è vittima dell’incapacità dei suoi colleghi, che si sono bevuti le balle di Scarantino – neanche troppo ben istruito – e che oggi come ogni anno si battono il petto sognando una comoda poltrona da ministro della Giustizia anziché sbattere la testa contro un muro e farsi da parte. Paolo Borsellino è vittima del suo essere non allineato, di destra, diverso. La figlia dice che gli altri magistrati hanno lasciato sola la famiglia, e fossi in lei ne sarei ben contenta. Mi ricorda una storia molto simile. Un altro giudice morto senza giustizia, ucciso dalla mafia (già, ma da quale?) e dallo Stato che, povero lui, aveva difeso fino alla fine dicendo no alle lusinghe delle coppole. Il giudice Antonino Scopelliti fu ammazzato il 9 agosto 1991 da un commando di killer calabresi su ordine di Cosa Nostra. Una verità storica che ancora fa fatica a diventare verità giudiziaria. Qualcuno sa (forse) chi ha premuto il grilletto, ma sui mandanti è ancora oggi buio pesto. E anche la figlia, oggi parlamentare Ncd, lamenta lo stesso distacco. Borsellino e Scopelliti erano due corpi estranei alle logiche correntizie che ancora oggi lacerano le toghe, alla faccia della giustizia. D’altronde, come diceva lo stesso Scopelliti, «il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso». Le toghe piangono lacrime di coccodrillo e le mafie ridono…