L’argomento è serio e delicato e sempre più di attualità. In Rete vengono diffuse notizie e approfondimenti da tantissime testate editoriali regolarmente registrate, ma anche – e spesso sullo stesso livello – bufale, informazioni errate e/o fraudolente, vere e proprie invenzioni. Gli utenti, complici i social network, spesso non riescono a distinguere la fonte e soprattutto la veridicità delle notizie (anche perchè la verosomiglianza è ricercata in tutti i modi da chi opera queste “truffe dell’informazione”). E spesso i titoli attraggono e al contempo traggono in inganno i lettori.

google

Il titolo che ho utilizzato ne è una (goffa) prova: una querela del Primo Ministro Italiano in carica ad uno dei suoi ministri (con cui peraltro, stando ai si dice, ha avuto qualche dissapore recentemente). La notizia è clamorosamente falsa, ma verosimile, se si crede ai gossip romani. E un lettore in cerca di “sensazione” o di “conferma” a quel che spera avvenga può facilmente cadere nel tranello. Ovviamente qui non troverà quello che cerca, ma tant’è….

Esisitono poi veri e proprie testate che tra il serio e il faceto cavalcano l’onda: tra questi il più noto è lercio.it ma anche il Giornale ha il suo “clone” che rilancia notizie palesemete false giocando sulla vicinanza del nome a quello originale.

E quindi?

Quindi Google ha introdotto all’interno dei suoi algoritmi un meccanismo che permette di “certificare” una notizia, in inglese viene detto Fact Check. Se la notizia è verificata essa porterà con sé un bollino su Google News e poi nei social appartenenti al colosso di Mountain View in cui viene condivisa. Ora si attende che anche Facebook adotti qualcosa di simile, essendo peraltro il maggior diffusore di news virali (sia vere che false) a livello mondiale. Ma per ora il gruppo di Zuckerberg pare nicchiare. Il ragionamento che sottende questa scelta si riferisce alla libertà di condividere quello che si ritiene opportuno (violazioni penali escluse) e la scelta di leggere o meno dipende da ciascun utente. Peraltro alcuni studi avrebbero dimostrato che il fact checking e lo svelamento delle bufale non inciderebbero un granchè su quanto rimane nella memoria dei lettori.

Il tema è delicato soprattuto quando le notizie false possono spostare degli equilibri importanti: in questi mesi le elezioni presidenziali americane, dove i contendenti stanno usando ogni mezzo lecito (e forse qualcuno non proprio “elegantemente lecito”) per screditare l’avversario presso gli occhi dell’opinione pubblica. Ma è evidente che si tratta di un meccanismo che coinvolge anche altri campi oltre alla politica, dallo sport allo spettacolo, dalla cronaca agli approfondimenti.

L’invito quindi è ad essere prudenti nelle fonti e nella verifica incrociata, un po’ come abbiamo imparato a fare con le mail che giungono negli account di posta elettronica. E l’invito non vale solo per i lettori, ma anche per alcuni giornalisti che a volte dimenticano (o fingono di dimenticare) i principi della verifica propri della professione.

 

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