IMG_6463Le grandi città d’arte hanno miopie e sordità sull’arte che i piccolissimi comuni non hanno. Non perché i piccolissimi comuni siano più lungimiranti, ma perché, avendo meno, sono portati a valorizzarlo meglio. Se Vinicio Berti, genio pittorico incontrastato del secondo Novecento italiano, fosse vissuto tutta la vita non a Firenze, ma chessò a Montelupo Fiorentino, a Pratolino o a Pontassieve, avrebbe già da anni il museo che espone in sede permanente e storicizzata le sue opere, così come Viareggio ha giustamente il museo dedicato a Lorenzo Viani, Santa Sofia ha musealizzato Mattia Moreni, Città di Castello ha incoronato Alberto Burri, Pescia ha la Gipsoteca dedicata a Libero Andreotti, Monte Vidon Corrado ha la casa museo di Osvaldo Licini. Firenze sorda e miope, come una vecchia senza più voglie, si può permettere il lusso di tenere 600 opere di Berti negli scantinati e ogni tanto fare una mostra di tre mesi che non serve a nulla, se non a lavarsi la coscienza. Se Vinicio Berti fosse vissuto a Pontassieve o a Empoli, il Comune, possessore di un’enormità di materiale, avrebbe già chiamato i più corposi collezionisti di Berti, come Carlo Frittelli, avrebbe concordato per i grandi capolavori e avrebbe realizzato il museo in suo onore, consacrando definitivamente la sua figura come solo un museo, nella società di oggi, può fare. Ma il genio è vissuto, maledettamente o fortunatamente, nella smemorata Firenze e dunque le opere rimangono chiuse, a prender polvere, nei garage e nei sottoscala preclusi a tutti.

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