Fonte: The globalist.it

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Immaginate il “casus belli” al contrario.

Gelateria milanese:  quella in cui si va perché il gelato è “buono”, gustoso; quella presa d’assalto da famiglie con bambini festanti e golosi con improvvise crisi glicemiche.

Immaginate che un tizio vi entri e desideri un cono gelato, pensatelo che passa in rassegna tutti i gusti in esposizione e che, pregustandone già il piacere, si trovi viceversa  di fronte ad un secco diniego a servirlo.

Immaginate che questo giovane ragazzo sia “colored”, sia nero.

Cosa sarebbe giustamente accaduto alla commessa se si fosse rifiutata di servirgli il cono gelato, come agli altri clienti?

L’apocalisse.

Sarebbe esattamente accaduto questo.

Si sarebbe parlato di una condotta razzista, retriva, barbarica come di una ipotesi di illecito amministrativo sanzionabile.

Giustamente, ripeto.

Non so che cognizione del diritto si stia respirando ultimamente ma, a parer mio, circola un’aria maleodorante ed ignorante.

“Ignorantia legis non excusat” erano soliti dire gli antichi giuristi latini: l’ignoranza della legge non scusa.

Chi contravviene alla stessa, deve essere soggetto ad una punizione proporzionata all’azione contra legem commessa.

Questo sarebbe stato il classico esempio di discriminazione fra clienti, ossia in barba a ciò che  enuncia l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, si compie un atto discriminatorio.

Peccato che la storia de quo sia capitata a Matteo Salvini e non al ragazzo di colore, alla tizia con hijab,  al testimone di Geova con il libricino in mano o al clochard.

Perché nel caso di Matteo Salvini, la legge, per taluni si può anche cambiare.

Udite bene il ragionamento di certe menti.

Nel caso di Salvini a cui la commessa in prova, tal Nadia Mohammedi (particolare gustoso che la madre sia una supporter di F.I) ha negato il cono gelato, sovvertendo persino uno dei principi basilari costituzionali, si parlerebbe di “esercizio dell’obiezione di coscienza”.

Meravigliosa boutade.

Varrebbe la pena essere puntigliosi, ulteriormente: lo sarò.

L’obiezione di coscienza è costituzionalmente e giuridicamente prevista per casi tassativi e ben definiti da disposizioni normative: esiste per la leva militare, per la sperimentazione animale, per l’interruzione di gravidanza, ma non esiste per la vendita di alcunché a chi ci sta sulle palle.

Nadia Mohammedi avrebbe commesso un illecito amministrativo se fosse stata assunta dal titolare (essendo solo in prova), e di certo anche l’ignaro gestore della gelateria ne avrebbe pagato le conseguenze.

A volte mi sfuggono i meccanismi mentali di chi, ignorante (che ignora) una legge, pretende di costruirsela a proprio vantaggio.

Le leggi non sono ad personam, valgono per tutti, inclusa l’aspirante gelataia che ha fatto la classica sciocchezza giovanile.

Ma il contorno?

Come si può giustificare?

Uno a caso: il vignettista Vauro , intervistato sul caso ha usato parole aberranti, non che mi sorprenda poi tanto:

«Voglio l’indirizzo del bar – ha detto Vauro – vado a comprare un camioncino di gelati da lei. Mi fa venire in mente dei ricordi, di quando in questo Paese la società civile era capace di reazioni e di riscatto. Mi ricordo di quando Almirante andò a prendere un caffè in un autogrill e tutto il personale si bloccò, entrò in sciopero istantaneamente e Almirante se andò senza il caffè».

L’elogio di Vauro è il termometro di quell’aria viziata che si sta respirando nel paese, quella che ci sta portando alla deriva.

Varrebbe la pena ricordare le parole di un tizio chiamato Cicerone:

Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d’essere superiore alle leggi.”

e su queste seraficamente riflettere.

Paola Orrico  

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