“Ero alla bancarotta, il governo era alla bancarotta, il mondo era alla bancarotta. Ma chi caz.. li aveva, i fottuti soldi?”. Usciamo, per una volta, dalle citazioni politiche e scomodiamo Charles Bukowski. Il poeta e scrittore statunitense, nato sul suolo tedesco, in maniera sboccata centra il nodo gordiano di quest’epoca: il debito. Chi ha preso i nostri soldi? Chi ci ha rubato il futuro? Chi ha reso il cielo oscuro eliminando ogni spiraglio di luce. Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ha dichiarato: “Gli squilibri quando si accumulano si finisce per pagarli tutti insieme, non possiamo dimenticare che il debito è un fattore di debolezza cruciale di freno e di vulnerabilità alla crescita. Non c’è una ricetta magica per ridurlo, ma è un impegno faticoso che va fatto porta per porta, elemento per elemento andando avanti anche con la spending review che va fatta dal basso, chiedendosi cosa serve e non serve oggi”. Queste le parole apparse sul sito Ansa. Come fermare una valanga inarrestabile? Rifugiandosi nella “spending review”. Sacrifici, gente, sacrifici. Dovete chinare il capo, mentre sui monitor, la mattina, passano i valori della borsa internazionale, numeri vuoti che incidono sulle esistenze del pianeta intero. Parole inconsistenti, nenie irrefrenabili che si trasformano in catene incapaci di donarci libertà. 
“Il bilancio deve essere equilibrato, il tesoro ripianato, il debito pubblico ridotto, l’arroganza della burocrazia moderata e controllata, e l’assistenza alle nazioni estere tagliata, per far sì che Roma non vada in bancarotta”. In un pezzo di qualche anno fa, Mario Borghi, sulle colonne de L’Intraprendete canzonando questi tempi, dopo aver elencato la citazione riportata qui sopra, scrisse: “Indovinate di chi è la frase. Forse di un moderno economista liberale? O forse un politico anti-europeista, convinto che il nostro Paese non debba dare i propri soldi all’estero? Nulla di tutto ciò. A pronunciarla fu, ancora prima della nascita di Cristo, il noto avvocato, politico, scrittore e filosofo romano Marco Tullio Cicerone”. Basta un nulla, voltare la testa guardando ai nostri avi per trovare medicine, che da millenni, curano tutti i mali. L’ultima “ideologia” del novecento, figlia degli anni ’70, il liberismo ha fermato il corso della storia, inglobando i suoi nonni, vissuti prima dell’avvento del fascismo e del comunismo, per relegarci in una società permeata di vacuità e di danaro. Danaro a tutti i costi. Ronald Reagan e Margaret Thatcher come dei di un Partenone decadente e rovinato dall’egoismo smisurato ed infinito.
Del resto essere indebitati è diventata la nostra matrice, un minimo comun denominatore inarrestabile. Una condizione, lontana dalla quale, paradossalmente, non sappiamo più vivere. Diventa impossibile non contrarre debiti, ne parliamo in termini di malattia, il sistema ha bisogno di passivo, di conti in rosso, di prestiti, di tassi d’interesse e lo Stato sociale è stato disarcionato da questo nuovo welfare del male. Abbiamo responsabilità solo verso quello che consumiamo. Paga la macchina, paga le rate del mutuo, estingui il prestito, compra il cellulare in 12 mesi, fai un investimento il tasso è conveniente. Siamo un ologramma con il portafoglio spremuto, smunto ormai. Assolviamo i nostri compiti solo innanzi al danaro, mentre davanti ad un maxischermo gridiamo “sono un kamikaze” per vedere l’effetto che fa. Nessuno disciplina il consumo, abbiamo bisogno di una guida, siamo divenuti ciechi sensibili solamente al luccichio del soldo. L’unico verbo che riconosciamo è quello dell’austerità. Hanno ridotto le strategie di sopravvivenza offuscando ogni passo, ogni speranza ed ogni sogno di rivalsa. Avete mai provato a mettere piede in una banca chiedendo un finanziamento per acquistare un immobile? 30 anni di mutuo, mentre i prezzi delle case crollano, che ti rendono vivo quel tanto che basta per poterti spolpare. Anni e anni a pagare interessi su interessi. Interessi privati per logiche di cricche segrete. Ogni giorno dobbiamo assicurarci di non avere un malanno, di non prenderci un permesso dal lavoro per far fronte ad ogni evenienza. Del resto chi si ammala, chi deve fermarsi, viene superato e trattato come carne da macello. Il Padre Nostro ci ricorda: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Abbiamo bisogno di rispetto e doneremo rispetto.
Sul sito L’uomo qualunque appare una riflessione: “L’effetto del debito, è devastante, logorante. Ci costringe a lavorare sodo senza distrazioni. Responsabilità e colpa. Un’ossessione per l’uomo qualunque. L’indebitato è condannato ad una vita infelice, paurosa e non si riesce a godere la quotidianità”. Ci vogliono in manette, perennemente schiavi della catena produttiva. Immigrati nella nostra stessa nazione, al soldo del primo straniero venuto a lavorare per sopravvivere, vivere mai. Usura. Ezra Pound nei Cantos, esattamente al Canto XLV, ci regalò questo pensiero: “Con usura nessuno ha una solida casa | di pietra squadrata e liscia | per istoriarne le facciate, | con usura | non c’è chiesa con affreschi di paradiso | harpes et luz | e l’Annunciazione dell’Angelico | con le aureole sbalzate, | con usura | nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine | non si dipinge per tenersi l’arte | in casa ma per vendere e vendere | presto e con profitto, peccato contro natura”. In Italia siamo stati costretti ad inginocchiarci. Veniamo controllati e soggiogati dal debito, eppure non possiamo arrenderci, lo dobbiamo ai nostri figli. La rivoluzione è in noi stessi. La dignità, la sovranità e la volontà di un popolo non potranno essere oppresse dal volto pallido dei Mario Draghi di questi anni. www.ilgiornale.it www.andreapasini.it
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