Ci sono molte categorie nel nostro Paese totalmente abbandonate da questo governo a guida Conte. Ma una su tutte credo lo sia ancora di più. Tartassati, bistrattati, ultra-tassati e soggetti negli anni a una narrazione totalmente errata fatta dalla sinistra ipocrita e falsa che li ha portati a essere percepiti da una buona fetta della popolazione come una manica di furbetti pronti a fregare il Fisco non appena si presenta l’opportunità. I titolari di partita IVA purtroppo se la passano peggio di tutti, secondo quanto rilevato da Federcontribuenti: nell’arco di appena 3 anni il loro numero si è ridotto considerevolmente, passando da oltre 8,5 milioni a poco più di 5 milioni. Diversi i fattori che hanno inciso su un calo tanto repentino quanto preoccupante: la situazione economica stagnante; la forte concorrenza interna; i Sempre più pressanti controlli dello Stato e gli adempimenti burocratici necessari al mantenimento in vita dell’attività produttiva. Il principale colpevole, però, rimane la pressione fiscale sempre più pesante, che è arrivata a toccare il 64% dei profitti di una piccola partita IVA. Il prelievo medio dell’Irpef sui lavoratori autonomi è di gran lunga superiore a quello in capo ai dipendenti e ai pensionati, pari rispettivamente al 30% e al 67% in più. È necessario chiarire anche una volta per tutte una questione per smentire una tesi molto diffusa, soprattutto in alcuni ambienti sindacali Sempre di sinistra , secondo la quale in Italia le tasse sono onorate quasi esclusivamente da coloro che subiscono il prelievo fiscale alla fonte. L’articolo 53 della Costituzione dice che ognuno deve concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Non si capisce dunque perché, a parità di capacità, l’onere del Fisco debba variare in base alla tipologia di lavoro. E non si usi sempre la scusa dell’evasione, un fenomeno certamente da combattere con forza ma non da utilizzare come giustificazione per un diverso trattamento fiscale degli autonomi. L’evaporazione di 3,3 milioni di partite IVA dal 2016 a oggi è avvenuto nonostante l’ampliamento, con la legge di bilancio 2019, del regime forfettario fino a 65mila euro: ogni anno queste subiscono 100 controlli da 15 enti differenti, il che significa avere a che fare con un controllo ogni tre giorni; il 25% degli autonomi, inoltre, vive al di sotto della soglia di povertà calcolata dall’Istat. Tra le numerose insidie che ai lavoratori tocca fronteggiare, la più allarmante resta il reddito medio in picchiata, che negli ultimi dieci anni è calato di 7mila euro: i numeri di Confcommercio professioni parlano chiaro, dal 2008 al 2018 i liberi professionisti hanno perso il 25% dei guadagni annui. Accanto al reddito in calo c’è da prendere atto anche di una situazione debitoria fuori controllo, dove il 98% degli autonomi ha in corso rateizzazioni per debiti o mancati pagamenti che si accumulano alle varie scadenze fiscali. Tra tasse, sia acconti dell’anno fiscale successivo, sia saldi dell’anno fiscale in corso, contributi previdenziali pure qui, tenendo conto di saldi e acconti, e pagamenti vari come quelli nei confronti della Camera di Commercio e altri oneri obbligatori, sono insomma più i soldi che finiscono nelle casse dello Stato rispetto a quelli che restano nelle tasche di professionisti e artigiani. Una partita IVA che fattura 50mila euro annui è obbligata a versare: 13.625 euro di saldo Irpef 5.241 di acconto Irpef 956 euro di addizionale regionale Irpef 236 euro di addizionale comunale Irpef 71 euro di acconto addizionale comunale Irpef 53 euro come diritti alla Camera di commercio 1.689 euro di Irap 797 di acconto Irap 7.191 euro di contributi previdenziali 3.779 di acconto contributi previdenziali. A fine anno, il totale da pagare sarà di 33.248 euro, ossia il 64,5% rispetto a quanto guadagnato: al professionista rimangono 16.752 euro, ossia 1.382 euro al mese. A una simile, drammatica, situazione, ora s’aggiunge l’emergenza del coronavirus, destinata a mettere ulteriormente in ginocchio gli autonomi. La crisi economica che sta provocando il COVID-19 interessa principalmente le piccole partite iva, come commercianti operanti su aree pubbliche, bar, ristoranti e tutte quelle attività che hanno alle loro dipendenze fino a un massimo di 5 lavoratori, che richiede un intervento da parte del Governo non urgente ma urgentissimo prima che il peggio accada, con ammortizzatori sociali in deroga, per dimostrare che l’unica preoccupazione nazionale non è costituita soltanto dalle grandi aziende. Il primo decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 28 febbraio con le misure immediate di sostegno economico alle aree e ai settori produttivi colpiti dalla diffusione del coronavirus è di certo un’importante mano tesa, ma non sufficiente. La bozza prevede fino a 1.500 euro di indennità per collaboratori, autonomi e professionisti che svolgono la loro attività nelle «zone rosse» di Lombardia e Veneto ma che adesso dovrà essere estesa a tutta Italia visto le ultime direttive del Consiglio dei Ministro che ha dichiarato zona rossa tutta Italia isole comprese. A questo si dovrà aggiungere la sospensione per due mesi minimo delle bollette di acqua, luce, gas, rifiuti e delle rate dei mutui agevolati concessi da Invitalia alle imprese della zona colpita, con il corrispondente allungamento della durata dei piani di ammortamento. È qualcosa, si diceva, ma certo non abbastanza. Per evitare gli effetti catastrofici del coronavirus sui liberi professionisti che non possono contare né su ammortizzatori sociali, né su riserve di risparmio a causa di redditi spesso sotto i livelli di povertà lo Stato deve fin da subito mettere a disposizione ingenti risorse economiche da distribuire alle partite iva per salvarle da un fallimento assicurato tutelandone fino a quando non potranno ritornare a fatturare ed a potersi mantenere da sole. Quello che preoccupa di più delle Partite Iva è la perdita di reddito che si è già verificata e che continuerà a verificarsi nei mesi a venire: i servizi tipicamente forniti da tale fascia di lavoratori vengono infatti programmati con molto anticipo e risentono sia delle condizioni delle industrie italiane e straniere in generale, sia della mancata circolazione delle persone, in Italia e all’estero. Ci voleva il coronavirus per ricordare all’Italia che esiste lo smart working, c’è da augurarsi che obbligandosi a vedere il bicchiere mezzo pieno l’emergenza ricordi all’Italia che esistono anche le partite IVA, e che il Governo si adoperi per alleviare l’impatto che la situazione attuale sta avendo sui freelance. Chissà che un evento eccezionale come questo non sia l’occasione buona per intervenire concretamente, a fatti oltre che a parole a cui ormai la sinistra e questo governo ibrido e senza anima ci ha purtroppo abituato. www.IlGiornale.it

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