Arrigo Sacchi ha coniato una definizione perfetta per parlare del pallone: “Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”. In quest’ottica si inserisce l’entusiasmante, la seconda dopo quella 2018-19, stagione appena conclusa da parte dell’Atalanta. In vista della finale di Champions League che si svolgerà domani sera, alle ore 21:00 a Lisbona, tra PSG e Bayern Monaco è giusto tributare il nostro plauso alla compagine pilotata da Gian Piero Gasperini. In un articolo sulla Rivista Contrasti Annibale Gagliani scrive: “Le caratteristiche fisiche e tattiche della ‘polenta meccanica’ che emula l’idea di calcio totale dell’Arancia Meccanica di Michels con il gladio da provinciale dentificano il mito della Dea Atalanta, cacciatrice valorosa e perpetua che sconfisse con un semplice arco i centauri Ileo e Reco, colpevoli di aver tentato di stuprarla, secondo i racconti di Ovidio ne Le metamorfosi. A Bergamo si vede un’originale filosofia di calcio etichettabile in senso lato come ‘europea’: l’unica di tale spessore in Italia, osservando l’ultimo lustro”. Sì perché il calcio della Dea è eresia in un’epoca fatta di calcolatrici e cyborg. Noi umili accaniti sostenitori della palla che rotola sul rettangolo verde, vogliamo sognare, ancora una volta, sentendo le gesta degli uomini di Antonio Percassi. L’imprenditore di Clusone a anche giocato a calcio proprio in neroazzurro collezionando, dal 1970 al 1977, 110 presenze con la maglia bergamasca irige l’holding Odissea Srl (gestisce tra le varie i marchi di cosmetica KIKO e Bullfrog, senza dimenticare che si occupa dello sviluppo anche di brand come LEGO, Nike e Gucci) risultando il 36esimo uomo italiano più ricco con un patrimonio che supera, abbondantemente, il miliardo di euro.

La pelota rimbalza ancora e lo fa grazie a Bergamo. Alcuni numeri. Partiamo dalla batteria degli esterni di Gasperini che stanno facendo venire, da quattro anni a questa parte, il mal di testa a tutti gli avversari. Timothy Castagne, acquistato per 6,5 milioni di euro nel 2017 dal Genk, Robin Gosens, acquistato per 900 mila euro sempre nel 2017 dal Heracles, e Hans Hateboer, acquistato per 1,04 milioni di euro dal Groningen, sono il sogno di ogni tecnico. Hanno fisico, corsa e dinamismo. In Serie A quest’anno hanno totalizzato, in tre, 10 segnature e 16 assistenze. A conti fatti a Percassi sono costati 8,5 milioni di euro. Oggi per assicurarsi il terzetto bisogna mettere sul piatto, circa, 100 milioni euro (la valutazione è tra i 25 ed i 35 milioni a giocatore). Un moltiplicatore di talento e danaro. Una macchina oliata perfettamente. Che in questi anni ha conosciuto una sola crepa, la triste vicenda della depressione di Josip Ilicic post lockdown. Parliamo dello sloveno e della sua bontà sul rettangolo verde sublimata, appena prima della chiusura totale lo scorso marzo, sul campo del Mestalla contro il Valencia durante gli ottavi di finale di Champions League. L’esterno, capace di ricoprire più ruoli all’interno dello scacchiere tattico atalantino, ha messo in ginocchio con quattro reti la difesa spagnola. Un giocatore a tutto tondo spesso immarcabile ed ingiocabile per gli avversari. Tanto estroso quanto fragile. Le magie del pallone, comunque, non finisco qui.

L’Atalanta è il calcio casereccio, ma iper-professionale non va assolutamente sminuito il lavoro della dirigenza lombarda he si staglia contro il teorema della squadra globale che risponde al nome della Red Bull. Gabriele Gambini, in un articolo di qualche giorno fa su La Verità, parlando dell’eliminazione per mano del PSG del Lipsia scrive: “Laddove la squadra di Bergamo, nella sua strepitosa corsa al massimo titolo europeo, rappresenta la costruzione di un sogno popolare e territoriale nato dal basso, l’Rb Lipsia somiglia a una distopia calata dall’alto”. Proseguendo nella lettura: “C’è il modello Red Bull, che punta a creare un polo sportivo mondiale affrancato da colori e tradizioni d’appartenenza delle singole squadre è la metafora del Leviatano europeista: l’individuo singolo postula la sua autosufficienza morale dalla propria comunità di appartenenza e diventa cittadino del mondo”. Il calcio è tradizione ed estremo campanilismo, lo strapaese di Leo Longanesi che ritorna ad ogni fischio iniziale come l’onda alla fine del riflusso. E l’Atalanta, come lo Spezia nel piccolo, dimostrano che la programmazione, il lavoro giornaliero maniacale e senza sosta,
la grinta e l’umiltà può portare a qualsiasi risultato. L’essenza ultima, nonostante pare ce ne siamo dimenticati, dell’italianità.

Il progetto Dea, dopo due terzi posti in campionato ed una semifinale di Champions League sfiorata, migliorerà oppure incontrerà un declino? Non possiamo saperlo, ma i sogni perché devono essere interrotti? Il calciomercato sarà inclemente e non si potrà sbagliare. Eppure alla fine ci troviamo a parlare di pallone perché è splendida metafora di vita di quello che fu, di quello che è e di quello che sarà. E come disse José Mourinho: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Noblesse oblige dello sport per antonomasia. www.IlGiornale.it

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