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Partiture che ormai tendono ad assomigliarsi, l’abbassamento culturale del settore, la produzione seriale che porta a risultati stereotipati, il ricorso esagerato all’elettronica e, dulcis in fundo, i soldi… Il settore della colonne sonore – che in Italia ha un’ottima tradizione – a quanto pare non se la passa benissimo. Stando almeno a un’inchiesta giornalistica che è stata realizzata recentemente.

L’agenzia per realizzare la mini-inchiesta ha intervistato alcuni addetti ai lavori, ovvero i compositori Nicola Piovani e Franco Piersanti e il presidente dell’orchestra italiana del cinema Marco Patrignani. Emerge un quadro che non si può definire edificante. “La musica per il cinema – dicono in coro – è a rischio”. Piovani pensa che l’avvento dei computer “abbia ristretto gli spazi dell’invenzione”. Con il risultato “che le musiche tendono ad assomigliarsi fra di loro”. A realizzare l’inchiesta in questione è stata l’agenzia giornalistica Adnkronos, impegnata da tempo anche sul fronte della musica contemporanea di matrice colta.

Piersanti pone l’accento su un altro aspetto: quando si produce in serie “è più facile trovare e produrre sonorizzazioni stereotipate. Il boom della musica elettronica è da spiegarsi principalmente secondo questa ottica”. Non solo. Ma il cinema, secondo gli esperti, è diventato anche un veicolo usato dalle case discografiche per lanciare – o rilanciare – gruppi e cantanti rock. E come dargli torno, gli esempi ultimamente non mancano proprio.  Rimedi?

Beh, intanto c’è da dire che il “coinvolgimento di professionisti nella composizione di una colonna sonora del tutto originale, e ispirata completamente al film, alza di molto le qualità del prodotto finale”. Ma quali particolarità contraddistiguono un buon musicista per il cinema, al di là del talento? “Bisogna saper lavorare nei tempi, sempre più brevi e dettati dalla produzione – conclude piersanti -. Occorre poi saper interpretare l’idea del regista, la narrazione”.
In allegato: “La vita è bella” di Nicola Piovani