[youtube S9Nz0UGuQyc nolink]

Flauti, flautini, flautoni. Come un gioco di parole, e viene in mente la recente polemica sui “flautini” citati dal direttore Riccardo Muti, in chiave non propriamente elogiativa riguardo l’educazione musicale nelle scuole italiane. Come dargli torto, anche se come si dice si fa quel che si può, e la reazione infastidita degli insegnanti non è stata poi tanto fuori luogo. Ma chi, tra i pochissimi nella moltitudine degli scolari, si innamora del “flautino” può arrivare a toccare vere e proprie vette d’eccellenza. Nuove, a dir poco.

L‘incipit per introdurre il favoloso mondo dell’invezioni strumentali. Pianoforti modificati, violini digitali, vocoder dai suoni alieni. E i “flautini” appunto, modificati, ampriati e reinventati. Un esempio, il più grande? Ce ne è uno, di flauto, lungo circa 13 metri, capace di produrre note ai limiti dell’inudibile (18 hertz di frequenza). A maneggiare questo genere di strumento sono in pochi, anzi pochissimi. In questo caso una “coppia” di musicisti che in Italia ha avuto modo di far conoscere direttamente al pubblico la loro invenezione; è successo non troppo tempo fa in quel di Arezzo. Loro si chiamano Roberto Fabbriciani e Robin Hayward. E

Fabbriciani s’è esibito suonando flauto iperbasso (http://www.youtube.com/watch?v=Bty8KVf0Js8), strumento da lui stesso progettato, dal quale ha “estratto note abissali” adoperando speciali guanti collegati attraverso delle micro-telecamere ad una tastiera elettronica. Al suo fianco Hyward, che per accompagnarlo si è servito di una tuba microtonale modificata per l’occasione. Durante i concerti i suoni prodotti da entrambi gli interpreti sono stati filtrati e modificati elettronicamente da una coppia di musicisti informatici con software innovativi.

“Questo concerto è la dimostrazione che quando la tecnologia è al servizio della manualità dell’uomo, si possono produrre suoni che rappresentano i nuovi confini sonori del nostro tempo, con al centro però il musicista e la sua creatività”, è il commento di Fabbriciani.
In allegato: performace di Stefan Keller