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Quali sono le novità nella musica? Che cosa si fa per riavvicinare il pubblico fuggito per la complessità di certe avanguardie? Il critico Alex Ross sostiene che sul piano della fruizione la contemporanea è in ritardo… Interviene il compositore milanese Alessandro Solbiati:
1) Ecco alcune novità della musica colta del XXI secolo: a) una sempre maggiore attenzione alla dimensione timbrica della musica, al “suono”, mediante nuove tecniche per gli strumenti tradizionali oppure la costruzione di strumenti virtuali mediante le possibilità sempre maggiori dell’informatica musicale. b) forse un minor “rigore linguistico”, anche attraverso l’apertura a mille trasversalità, ma certo una maggior attenzione alla chiarezza della figura musicale, alla plasticità del suono c) più che dire alcuni nomi, preferisco segnalare il grande numero di giovani compositori (sotto i 35 anni) attualmente agenti, il loro provenire davvero da ogni parte del mondo (a differenza che quarant’anni fa), Cina, Giappone, Sudamerica, Australia, Borneo, ogni paese europeo etc.) ed anche il grande valore, a livello europeo e mondiale, della giovane musica italiana: i giovani compositori italiani sono in numero superiore a quelli di ogni nazione europea e sono in generale ben accolti fuori Italia.
2) La colpa di “certe avanguardie” forse c’è, ma rappresenta il 10% delle colpe. Il fatto è che la cultura musicale in Italia è a livelli infimi. A tutt’oggi la musica non è considerata cultura, alla maturità classica ci si va senza conoscere il nome di Schumann. Non si ritiene importante ascoltare Verdi per capire il Risorgimento italiano, né Chopin per capire il fenomeno romantico. Di fronte a questo non è che il pubblico è “scappato” dalle avanguardie: il pubblico medio non concepisce nemmeno che la musica possa essere complessa come la letteratura o la poesia, il pubblico medio non va nemmeno a sentire Brahms, altro che la musica contemporanea!
Le colpe sono:
a) dei mass-media televisivi che non si occupano in generale di musica colta, vecchia o nuova che sia b) come detto, dell’impostazione dei programmi scolastici
c) laddove si produce musica colta (teatri, stagioni sinfoniche e cameristiche), la colpa è dei direttori artistici che hanno paura di introdurre in ogni concerto un pezzo d’oggi. La gente che va a un concerto è più curiosa di quel che si pensa e non rifiuta quasi mai il “nuovo”, se dato in quantità accettabili e ben scelto. Ma i direttori artistici hanno paura e non hanno tempo per scegliere, cosa molto grave.  Detto tutto questo, devo anche dire che, mediamente, la musica colta di qualità composta negli ultimi vent’anni è in grado di “porgersi” all’ascoltatore molto più di quella degli anni ’50 e ’60. Questo per i motivi detti alla risposta numero uno.
3) La fruizione delle arti plastiche avviene così: si entra in una mostra, si guarda un’opera, in un secondo ne si fruisce completamente, nel secondo successivo si decide se merita uno sguardo in più. Abbiamo così “rischiato”, per un’opera, ben due secondi del nostro tempo. Per un brano di musica ignota, soltanto per “abbracciarlo” totalmente occorrono tutti i minuti della sua durata (e spesso, orrore!, la sua durata ci è ignota: “rischiamo” il nostro tempo senza nemmeno sapere quanto!!!). Nella civiltà dello zapping, la musica, arte che richiede tempo (la merce più cara dell’oggi, molto più del denaro: ci riteniamo tutti così preziosi che diamo più facilmente 10€ che 10′, a una persona incontrata per strada) è un’arte fatalmente in difficoltà. Inoltre la nostra è la “cultura dell’immagine”, non si ascolta la musica rock, ad esempio, ma si vedono i videoclip, tutto passa attraverso gli occhi, gli organi più veloci. E anche in questo la musica è perdente. Infine, la nostra è la “civiltà dell’oggetto”, le opere plastiche sono oggetti con un valore e un costo, mentre un brano musicale si disperde nell’aria…Tutte le cose dette con [spero evidente] ironia costituiscono per me proprio il massimo valore della musica: la musica è un’arte lenta, richiede tempo, ripetizione dell’ascolto, memoria: fruendone, ci arricchiamo, e questo dovrebbe essere il vero valore dell’amore per la musica.
4) Cerco di scrivere una musica che coniughi complessità e chiarezza, una musica che proponga una superficie sonora in qualche modo in parte subito chiara ma che non si sveli del tutto: cerco di dare alla mia musica percorsi immaginativi e formali molto “direzionati”, in modo che l’ascoltatore possa essere sempre in tensione verso qualcosa. Ultimamente ho rivolto la mia musica anche al teatro musicale (un’opera è stata rappresentata al Teatro Verdi di Trieste nel 2009 e la seconda sarà in scena al Teatro Regio di Torino nel prossimo settembre), sempre scegliendo testi di forte e profonda intensità (prima Puskin ed ora Dostoevskij) affinché la mia musica possa esprimere anche un’intera visione del mondo, una “Weltanschaung”.
In allegato: musiche di Alessandro Solbiati