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“Non sparate sul pianista”, dicevano nel Far West. “Ma neanche sul pianoforte”, per completare oggi si può aggiungere. Altro che giochi di parole, come diceva monsieur Vattelapesca, la realtà “è quella cosa che c’è anche se non la prendi in considerazione”. Sembra non c’entrare, ma non è così. Tu, pianista, vai a esibirti, nessuno ti “spara”, ma lo strumento con cui ti cimenti e già crivellato di colpi dai gangster della cultura. In che senso, si chiederà.

Tu, spettatore, vai al recital e ti aspetti grandi cose, ovviamente bella musica e bravo interprete almeno, e magari un pianoforte con dei suoni degni di questo nome, necessariamente. Poi vedi da lontano una cassa che sembra un pezzo di groviera… “Boh!”, pensi. Tu, fornitore di pianoforti, lo sai che tra pochi secondi il “tuo” strumento in sala provocherà dei mal di pancia multipli, financo casi di dissenteria o forse la fuga in massa?

La notizia: anche l’altro giorno un Pianista con la “P” maiuscola di scena in un teatro con la “T” maiuscola davanti a una moltitudine qualificata di Ascoltatori per lo show si è portato da casa il suo pianoforte, rifiutando quello messo a disposizione dall’organizzazione dell’ente concertistico. A qualcuno sarà venuto in mente Linus van Pelt e la sua copertina di sicurezza (che trascinava con sé per farsi coraggio), nei fumetti il miglior amico di Charlie Brown.

Ecco, c’è da dire che come il collega succitato, anche Arturo Benedetti Michelangeli si portava dietro il suo pianoforte, alla stregua di Linus con la copertina. Non certamente per sentirsi più sicuro, ma per avere sotto le mani una tastiera scelta, personalmente, dunque a prova di bomba. Perché se lo strumento non canta in un certo modo, se non ha quei suoni lì che ben rappresentano uditivamente la pagina eseguita, perché quel timbro è inconfondibile… Ci sono tante ragioni, che possono essere personali ma anche no. Diciamo però che un certo tipo di qualità è richiesta. Punto e basta.

E qui si torna al “non sparate sul pianoforte”, che succede meno di quel che si possa pensare, soprattutto quando c’è da suonare i “moderni”. Proprio così. E a niente valgono giustificazioni tipo “ma tanto in questa orchestra” – e magari si tratta di jazz oppure di qualcosa di “astrusamente” contemporaneo – tanto si diceva, in questa orchestra lo strumento è nelle retrovie. E’ questione di principio e di orecchie: le note devono essere quelle – guai alle stonature -; la meccanica deve funzionare – e non quelle situazioni che il tasto non va giù -; infine tastiera lucida-linda-bianca come poche, perché le dita devono scivolare leggere all’occorrenza, non pattinare e non grattare… Basta?

Potrebbe, ma visti i casi estremi che le cronache del tam tam registrano è bene qualche raccomandazione in più. Prendi una volta di cui si favoleggia ancora un po’; concerto programmato, locale a cinque stelle; pubblico in ghingheri; ebbene, che cosa è successo?

Il pianoforte da concerto per il concertista di prima classe non viene consegnato e gli organizzatori restano come si dice, con le pive nel sacco. Anzi, peggio: quando il patron del teatro fa vedere lo strumento di riserva – a cui avevano pensato per il piano “b” – qualcuno a momenti sviene. Un pianoforte da saloon sarebbe stato meglio, più in salute, intonato e meno polveroso. Giusto mancavano i fori dei proiettili da colt. Dunque la morale è che non c’è morale in queste storie. L’unica cosa che si può aggiungere, è un semplice appello: più rispetto per la musica!
In allegato: musiche di Scott Joplin