Il tempo, il metronomo, la freccia che punta avanti. Quante corrispondenze tra la poetica delle arti visive e la invenzione compositiva. Suggerisce l’analogia un’opera esposta fino al 13 gennaio 2012 a Cà Pesaro in quel di Venezia, dove è in corso una mostra dedicata al duo Castellani e Uecker. Del secondo è il lavoro artistico i Sette metronomi (cm 162x21x241) che ci interessa.

Il parallelo dunque è con il Poema sinfonico per 100 metronomi scritto dal compositore ungherese Gyorgy Ligeti. Cronologie: siamo negli anni Sessanta, l’opera succitata risale al 1968, quella musicale al 1962. Non sarà un caso.  

Il periodo è dunque lo stesso: la ricerca, la rivoluzione culturale, in quegli anni ri-aprivano questioni che poi sono rimaste territorio di riflessione, provocazione e invenzione fino a oggi, e l’indagine continua, a tutti i livelli, per fare un passo in più per svelare-smascherare-comprende lui, il protagonista, il tempo. Che ognuno poi ha il suo: ma quante analogie, passando per il comun-denominatore-metronomo.

Vediamo il tempo di Castellani:  l’opera è costituita da sette metronomi appunto, impostati a velocità diverse e attivati contemporaneamente, per evidenziare con il loro battito ossessivo l’impossibilità di comprendere il senso del tempo e la vanità del desiderio di fermarlo. Il tempo di Ligeti: si tratta di una massa sonora e network poliritmico che emerge automaticamente, non appena il meccanismo comincia a ticchettare; sulla questione ognuno dica la sua, il dibattito è aperto. Già, il tempo così rappresentato…

“L’invenzione del metronomo – come scrive Maddalena Schito su Minima Musicalia – (…) è attribuita nel 1812 all’olandese Winkel (già nel 1696 si ha notizia di un metronomo, alto 2 metri, costruito dal francese Etienne Loulié). La sua realizzazione è invece del tedesco Mälzel nel 1816″. E ancora:  “Beethoven, per primo, usò il metronomo nella sua stessa musica ma lo strumento di cui si servì doveva essere ancora impreciso, essendo le indicazioni talmente veloci da risultare ineseguibili (…)”. Musica e nell’arte contemporanea:

“Pensiamo all’interpretazione come oggetto-scultura che ne dà Man Ray nel 1923 – spiega l’autrice – attaccando al pendolo la foto di un occhio (sul significato di quest’opera (…)”. Fino a oggi,  anzi fino ai Sessanta di Castellani, ma la storia continuia…