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Be’ la storia del compositore Elliot Carter (11 dicembre 1908 – 6 novembre 2012) è una storia lunga un secolo. Dagli studi, con nomi quali Gustav Holst e Walter Piston e Nadia Boulanger, al suo debutto, alle sue innovazioni, la sua attività di autore e critico. Una vita per la musica: oltre 400 partiture. Tutto in questi giorni è stato scritto, o quasi, o detto su questo autore da Pulitzer – due per l’esattezza – che tra le altre cose colpiva l’ascolto e l’immaginazione anche per le sue avventure nella complessità: era noto infatti per aver scritto pezzi ai limiti dell’eseguibilità e dell’udito, tanto che il “New York Time” aveva definito i suoi quartetti per archi “i più difficili mai concepiti”.

A parte il suo iter fino agli anni ’50 perlopiù influenzato da Stravinsky a Hindemith, dunque di scuola neoclassica, poi arriva la svolta. Ed ecco uno suo stile atonale e ritmicamente complesso, con l’invenzione del termine “modulazione metrica”, per descrivere i cambi frequenti di tempo. E ancora una visione personalissima della composizione non basata sulla serialità – al contrario di molti suoi colleghi coetanei – ma sul massimo sfruttamento delle possibilità offerta dall’armonia, seppur rivista e adattata alla esigenze. Nei suoi lavori a un certo punto prevale la parola “stratificazione” dei suoni che combinata con la varietà ritmica porta a paesaggi sonori a dir poco arditi. In questo senso la sua partitura maggiormente ricordata è “Symphonia: Somma Fluxae Pretium Spei”.

Carter, che ha composto si può dire fino all’ultimo, tra i 90 e i 100 anni ha pubblicato una quarantina di opere. Un caso di longevità anche artistica davvero eccezionale. Il suo ultimo lavoro completato il 13 agosto 2012 si intitola “12 Epigrammi brevi” per pianoforte.
In allegato: musiche di Elliott Carter