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Il racconto (si sa) ha avuto un calo di popolarità – e non parliamo di quello musicale che praticamente è sempre stato un fanalino di coda -. La musica, i suoi strumenti, i suoi protagonisti hanno ispirato poco quanti per necessità o professione o semplicamente per passare il tempo si sono cimentati e si cimentano con le parole. Eppure i soggetti non mancano. Dal pianoforte al flauto traverso, dalle arie barocche ai tempi irregolari di una sonata del Novecento, fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’elettronica, la computer music e la rivisitazione in chiave moderna delle antiche polifonie. Un mondo coi suoi “abitanti” col quale si possono inventare delle storie. “Fuori Tono” continua – muovendosi non solo nell’era moderna di cui per sua scelta si occupa – a proporre periodicamente un racconto musicale, accompagnato da una colonna sonora e da un video che possono rappresentare il soggetto. Dopo “Una Rimini da sogno” (29/03/2011), ”Uno Stabat Mater che consola” (29/04/2011) e “Le paure di Rumolandia” (30/05/2011), ecco il quinto: “Suono I, Suono II, Suono III

Che brulicare nell’etere. La modernità, in certi momenti dell’esecuzione ha portato sold out. Tutto esaurito. C’è stata una volta che non ricordarsela è impossibile. Chi vive in questo mondo fisico, ovvero di cose che si toccano e si vedono, non lo può sapere, neanche immaginare per un momento. Ma dall’altra parte – una zona che per conoscerla occorre essere, diciamo, piuttosto immateriali – ne discuteranno ancora chissà per quanto tempo. Ogni tanto se ne parla al bar di quella dimensione, di sera, quando le maestranze non chiamano per il “servizio”. Che in questi casi vuole dire: CONCERTO!!!

Già, un recital: è il posto di lavoro dei su9ni, che sono soggetti inclini ad andare al sodo, che amano fare poche cose che fanno con gusto: stare in un auditorium, ad esempio, per guadagnarsi il mensile, oppure nel tempo libero nei locali, per svago e aspettare qualcosa: si beve tutti assieme come agli umani, si fuma, si gioca a carte e ci si racconta la vita per quel che può essere lassù. E le ragazze – crome, semi-crome e semi-minime (nomi di tempi di note) – qualche volta ci stanno. Che serenate… Sì, proprio come avviene tra di loro, gli esseri viventi della razza (dis)umana. Poi ci sono i ricordi.

Suono I quando ri-tira in ballo la vicenda in una nuvola di sigaro, attacca sempre allo stesso modo: “Ue’, quella volta, vi è rimasto in mente che roba quella spada di flauto… ci siam tirati indietro in tanti”. Suono II: “E che volevi, lo spavento c’è stato e poi chi si andava a immaginare tante assurdità”. Suono III: “Ah, come si chiama Seriale questa musica…ummmmh non mi ha mai convinto…”. Discussione tra addetti ai lavori, tecnici sul pezzo, operai dello spazio tempo che vivono dando vita ai gesti degli uomini sul palcoscenico. Schiacciano un tasto e arrivano loro: biiiiiiii, ne schiacciano un altro e rispondono: booooo… il direttore si agita e arriva il tamburo: papapatatata!!!!

Quella volta era diverso, aveva scritto un compositore che amava “le masse sonore” (al tavolo delle carte ridono), le solite definizioni dei critici. “Non sanno – dice Suono II – che qui le masse non ci sono; siamo in sette e tutti un po’ maghetti…”. Se dicono “tutti insieme”, “non ci moltiplichiamo per dieci., per cento, per mille… e diventiamo masse – fa Suono I – Siamo solo sette però, Sette!!!”. Fatto sta che quel compositore nemico delle melodie, non incline al ritmo, con la tendenza a non utilizzare gli strumenti tradizionali e a non amante della disposizione né ordinata né disordinata delle note, aveva voluto moltiplicare quasi all’infinito i fonemi a disposizione. Da sette erano sembrati migliaia, eserciti contro altri eserciti, a tratti meteoriti impazzite nell’aria. “Ci spostavamo come canne al vento – ricorda con sgomento Suono III – io mi sono trovato schiacciato tra un vibrato e un bagliore elettronico, che quasi vomitavo addosso agli altri”. Un etere movimentato, non c’è che dire. Cose a cui questi signori dello spazio indefinito sono abituati. Ma l’eccezione c’è sempre. E sentirsi sballottati così, da una  parte e dall’altra, senza alla fine capirne nemmeno il motivo, insomma… non farebbe piacere a nessuno, no?

“Dico io – riprende con una serie di punti interrogativi Suono III, che su queste cose vuol essere provocatorio –: tu, autore, vuoi fare della musica contemporanea? Vuoi stupire il pubblico con gli effetti speciali? Vuoi che i posteri ti ricordino per le tue masse sonore? Ok, va tutto bene. Ma prima di tutto devi rispettare i nostri diritti”.

Proprio così, perché anche questa tipologia di operai che del vuoto fanno il loro cantiere, hanno esigenze, cercano rispetto, in qualche caso pretese. Dunque…morta lì, amici compositori: siete avvisati. Tanto più che da quella volta un siffatto concerto non è più stato nemmeno pensato, figuriamoci eseguito. Il perché è presto detto: Suono I è uno che, nell’ambiente, conta: si è rivolto ai sindacati.
In allegato: “Freitags Gruss” di Karlheinz Stockausen