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Ci sarà un altro modo di rappresentare la musica fuori dalla musica eseguita, raccontarla, esplorarla. Spesso quando si legge sull’argomento si intraprende un viaggio intorno alla musica. Storie, aneddoti, personaggi, tutto ben incartato, sapori dolci e nuvolette, uno slalom continuo tra i toni reclamizzanti, colori pastello e buon senso. La penna scivola sulla superficie, nessuno si fa male, nessuno si sporca le mani. E la critica di tanto in tanto quando fa capolino spesso è un affare da storici-filosofi-intellettuali. Sui contenuti della musica, la materia di cui è fatta, come evolve, dove va, l’origine e la destinazione, poco o niente. Spesso niente.

Ah già, si dirà, ma quelle cose sono per gli “specialisti”. Per chi pratica, per chi ha le mani nel motore, agli altri la storia, la storiella, quasi mai la parola fuori posto il microfono sotto la bocca, esce il disco scatta l’intervista senza contradditorio (ogni tanto qualche domanda maliziosa o finta tale) e avanti così, spesso con noia anche di chi deve vergare, perché alla fine poi che gusto c’è a parlare di una cosa girandoci sempre intorno, mai andare al centro della Terra e gustare insieme a chi scrive la musica, la parte “architettonica”, ammirarla, spiegarla, come un Piero Angela alle prese con la divulgazione dei misteri della scienza.

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Ebbene un tema sui cui riflettere, magari, come raccontare “diversamente” la musica, specialisti permettendo a volte talmente dentro alle cose che persino loro a un certo punto peccano di scarsa capacità comunicativa. Infine sarebbe bello fare un sondaggio tra chi rappresenta la musica con la penna, chi la musica la fa e chi fruisce dell’una e dell’altra: mettersi un poco in discussione, no?