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Ritrovarsi una sera invitati a casa di amici. E scoprire che no, non è un incontro di quelli soliti, piacevoli sì, ma già visti: aperitivo con cena, chiacchiere, atmosfera come si deve e il ritorno a casa soddisfatti. Magari dopo la partita. Silenzio, musica maestro. Proprio così. Capita che nelle case, ovviamente in quelle dove la musica già abita bene, secondo la legge dei corsi e ricorsi siano tornati i concerti da salotto, più che da camera. Come nel secolo dei Lumi, nell’Ottocento romantico, quando nelle famiglie della buona borghesia in su, giovani e signorine e genitori magari si esibivano per allietare gli astanti, in mancanza di tv e compagnia bella. Dei passatempi della modernità. Un esempio?
A Pavia, ecco spuntare tra le mura amica del compositore Giovanni Albini un trio, costola del 15.19.ensemble, formazione cameristica questa sera impegnata a Lugano in un recital con musica del riscoperto compositore Nino Rota. Qualche sera dopo, in un giardino di una casa patrizia, sempre della cittadina lombarda, il chitarrista Diego Autelitano (anch’egli oggi impegnato in un concerto ma al Conservatorio pavese). La formazione cameristica (Rosa Franciamore al corno bassetto, Alessio Zanovello al clarinetto e Claudio Sutrini flauto) ha proposto musiche di Mayr, Auric e Beethoven; Autelitano si è cimentato con Ponce, Rodrigo, Barrios e Castelnuovo Tedesco. Già si parla di un terzo appuntamento “a casa di amici”, in una villa piazzata nel bel mezzo del Pavese. Si vedrà in autunno.
Un modo diverso di ascoltare, di vivere l’evento musicale e di restare (e non subito di andare finita la musica). A differenza che a teatro, all’auditorium o più in generale dove si fa musica – un locale per esempio – il pubblico è a un palmo dai musicisti, che quasi quasi ci si guarda negli occhi se quelli degli interpreti non fossero incollati allo spartito o allo strumento. Dunque la soglia di attenzione più alta per tutti in un reciproco scrutarsi, perché anche il musico ti mette gli occhi addosso per cercare di carpire il tuo pensiero. Vivere l’evento in questi casi – cosi come questo gruppo di amici ha deciso di congeniare il programma – vuole dire arrivare e quasi non conoscere nessuno e andarsene dopo aver ascoltato buona musica, cenato in piedi e durante la cena aver conosciuto almeno metà del pubblico. Dunque la musica che apre le porte della socializzazione e non quella dell’uscita perché il teatro chiude. E questo è il restare: per scoprire che al di là dell’età, delle professioni, della propria socialità, all’improvviso ci si trova uniti a parlare di strumenti diventati rari come il corno di bassetto, di quanto era caratteriale il virtuoso delle sei corde Segovia e di bimbi che hanno il senso del ritmo sviluppato che quasi sembrano un metronomo.
In questi casi ci può essere una morale. Certi riti prima poi ritornano perché come ormai la genetica, col suo tic di catalogare tutto e tutti, potrebbe dire: sono come iscritti nel Dna di tutti tempi. Negli uomini e donne con parrucche e abiti lunghi del Settecento come nelle belle ragazze dai capelli corti in corto come a sfilata in riva al mare. In fondo il corso di bassetto non lo suona più nessuno, o quasi, ma quando rivive e te lo ri-trovi a pochi centimetri ti fa ancora vibrare.
In allegato: il cono di bassetto secondo Mozart