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E’ solo da un anno e mezzo a  Milano e già si è fatto notare dal pubblico, dalla comunità dei compositori italiani e dei musicisti, in generale. Lui è Lodi Luka, 37 anni, pianista-compositore e direttore d’orchestra originario di Shkoder, storicamente culla della cultura albanese. Viaggio di andata da giovanissimo da Tirana a Crotone, poi a Milano per studi e formazione. Ha girato mezz’Italia, infine stabilendosi nella capitale lombarda. Il Maestro ha accettato di rispondere a qualche domanda.

Come si trova a Milano?
“Milano offre molto, molti stimoli culturali. Per la composizione, in particolare, è una finestra verso i vari stili, un luogo giusto per essere sempre aggiornati su quello che succede”.

Visto che questa città offre molto, può spiegare chi e che cosa esattamente ci ha trovato?
“Per esempio ho grande stima per il compositore Carlo Galante, apprezzo molto il suo lavoro. Proprio domenica scorsa ho assistito alla rappresentazione del suo melologo Storie di fantasmi. Inoltre frequento i concerti di Carlo Boccadoro e anche quelli allo Spazio 89, diretto da pianista Luca Schieppati. Penso anche al pianista-critico musicale Luca Ciammarughi, che ben rappresenta lo spirito colto e cosmopolita che ho trovato in questa città. In cima a tutto ovviamente, tra le istituzioni, il Teatro alla Scala”.

E’ recente la notizia che lei ha vinto una “statuetta”, ovvero il Primo concorso internazionale di composizione nella tradizione ebraica, un evento promosso dall’Ucei (unione delle comunità ebraiche in Italia)…
“Il brano con cui ho vinto si intitola Shirah, che in ebraico vuol dire “canto”. Ho scelto questo tema perché il canto appunto, può veicolare messaggi importanti, emozionali, su ciò che è il vissuto e la memoria storica. Il concorso, che si è tenuto a Parma, era legato al nome della città di Gerusalemme, ultimamente al centro dell’interesse della comunità internazionale per via delle vicende politiche”.

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Ci vuole spiegare i contenuti del suo brano “vincitore”?
“Un pezzo scritto per viola solista e quartetto d’archi. La viola è uno strumento poco sfruttato ma ha e dà tante possibilità espressive. Dunque la scelta giusta per il mio brano che è cantabile, ha tinte mosse e drammatiche. Il suono degli altri archi a volte si fonde con quello del solista, oppure lo contrasta. A volte, invece, lo strumento resta come isolato, solo. Poi riguardo al materiale di base, ho studiato vari canti ebraici, trovando diverse affinità tra la musica balcanica e i canti degli ebrei dell’Europa dell’Est. Nel pezzo, inoltre, molti i contrasti ritmici. L’attenzione viene sollecitata e tenuta viva proprio attraverso le irregolarità del procedere ritmico”.

Prossimo progetto che sta per uscire dal “suo” cantiere creativo?
“In questo periodo sto scrivendo diversi brani di musica da Camera. In particolare sono concentrato sulla realizzazione di un “Concerto per pianoforte e orchestra d’archi” che presto verrà eseguito a Cosenza in prima assoluta. Un pezzo musicale complesso, articolato, formato da quadri musicali completamente differenti tra loro. Questo lavoro trae spunti sia dal minimalismo sia dalla musica balcanica”.

Nella capitale lombarda ci sarà anche un concerto dedicato alla musica albanese classica, che in Italia e non solo si conosce poco…
“Questo concerto nasce dal desiderio di diversi musicisti albanesi integrati nella vita culturale di dare un contributo a questa musica a volte rimasta un po’ nell’ombra. Ci saranno compositori di valore che hanno operato durante il periodo del realismo socialista, fino agli anni Novanta. Poi ci saranno alcune mie composizioni”.

Viola, orchestra d’archi, pianoforte: sono tutti strumenti acustici e tradizionali, come si colloca lei stilisticamente parlando rispetto ai nuovi linguaggi e alle tecnologie?
“Mi sento vicino a un’area post-moderna, nella mia musica accolgo diversi stimoli e influenze. Penso sia ai compositori americani – come John Adams, Reich e Glass – sia alle mie radici, quindi al mondo etnico-albanese, pur restando aperto alla conoscenza di diversi linguaggi e tecniche compositive”.