ODEIl reddito di cittadinanza in Spagna esiste da una quindicina d’anni. Si chiama diversamente da regione a regione. E varia anche nella sua applicazione. L’Istituto del reddito di cittadinanza, controllato da Madrid, è gestito da ogni singola Comunidades di Spagna che ne ha assunto la facoltà di riconoscere e disciplinare l’applicazione ed erogazione della misura sociale. A Madrid, come più a sud in Andalusia, lo chiamano “Reddito minimo di inserimento”, Renta Mínima de Inserción. In Catalogna è detto “Il reddito garantito di cittadinanza”, Renta garantizada de ciudadanía e in Galizia “Reddito di integrazione sociale”. Nei Paesi Baschi suona diversamente: “Reddito di garanzia delle entrate” ed è un sussidio di base di 665 euro mensili, tra i più alti del Paese, che consente ai 65mila beneficiari di mantenersi appena al di sopra della soglia di povertà. Sono rispettate in tal modo le indicazioni della Carta Sociale europea e i principi espressi nella risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017, un vero “pilastro dei diritti sociali”.
In mancanza di una regolamentazione statale, l’Andalusia, che ha visto alle recenti regionali il trionfo di “Vox” partito di ultradestra sulla storica maggioranza dei Socialisti. L’Andalusia è una comunità storicamente svantaggiata. Il tasso di disoccupazione è il più alto d’Europa: 30 per cento per chi ha tra i 30 e i 50 anni e fino al 60 per cento tra i 18 anni e i 25 anni. Dal primo gennaio 2018 l’Andalusia ha ottenuto un bilancio di circa 200 milioni di euro per questa misura sociale, con una dotazione di 820 milioni fino al 2021. Secondo le previsioni saranno 45mila le famiglie che, per un periodo massimo di un anno, percepiranno un reddito tra i 419 e i 779 euro, cumulabili con altri aiuti sociali. Per ottenere il beneficio, il nucleo familiare deve avere entrate mensili non superiori a 418 euro. Chi riceve l’aiuto è comunque obbligato a seguire un programma orientato alla ricerca di un lavoro attivo. Operazione, però,  in verità tutt’altro che semplice in Andalusia, visti i tassi di disoccupazione.
Secondo uno studio di Adecco, la maggior parte delle offerte aziendali in Spagna sono “occulte”, poco pubblicizzate sul web, soddisfatte facendo ricorso a reti interne di contatti. Le Oficinas de empleo – come i nostri Centri per l’impiego – fanno poco, la domanda e l’offerta non si incontrano quasi mai negli uffici specializzati, solo il 2% dei salariati trova un lavoro attraverso la mediazione pubblica. Una cifra bassissima e vergognosa.
Ancora diverse sono le caratteristiche del reddito minimo nella Comunidad de Madrid. Qui una persona totalmente priva di reddito, e con un patrimonio complessivo inferiore ai 13mila euro annui, percepisce 400 euro mensili, fino ad arrivare ai 587,78 euro per un nucleo di tre persone. La soglia massima è fissata a 735 euro, ma se le entrate familiari sono inferiori a tale importo interviene il reddito integrativo.
Qualora, invece, convivano sotto lo stesso tetto due o più persone che ricevono il sostegno, allora scattano coefficienti per la riduzione degli importi riconosciuti. Ma non è poi così semplice: i tempi di attesa sono lunghissimi per ottenere il contributo, anche oltre i sei mesi. Inoltre, l’assenza di una uniforme pianificazione nazionale contribuisce a un’eccessiva discrezionalità e disparità di trattamento tra le varie regioni, producendo rancori e proteste. Così si passa dalla disciplinata Madrid – che non prevede limiti temporali nell’erogazione del reddito -, al termine di 12 mesi, prorogabile fino a 60 per la Catalogna, dove una coppia con tre figli può riscuotere fino a 1.062 euro per cinque anni. Lo studio rivela anche che il reddito di cittadinanza non ha risolto il lavoro nero e il clientelismo, vere piaghe del mercato del lavoro: i controlli risultano insufficienti e il sistema in sé risulta poco efficace a favorire un vero reinserimento nel mondo produttivo. Tuttavia agli spagnoli piace il reddito di cittadinanza o come volete chiamarlo. Meglio un uovo oggi che niente domani.

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